Sulla Mole sventola la Mezzaluna

La finanza islamica segue la Sharia, la legge islamica, che fissa in materia di finanza tre principi capitali: il divieto di chiedere interessi (riba), considerati una forma di usura; la condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore e, infine, l’obbligo di appoggiare tutte le transazioni finanziarie su di un attivo reale, e ciò in teoria esclude il ricorso a prodotti derivati.
Secondo i precetti del Corano, il denaro non può quindi stare fermo e generare altro denaro. Per crescere deve essere investito in attività concrete e produttive, come ad esempio gli immobili.

Le banche islamiche si distinguono così in modo sostanziale da quelle occidentali. Piuttosto che concedere un mutuo a una persona che vuole comprare una casa, riscuotendo in cambio un interesse sul prestito, la banca acquista direttamente la casa e poi la concede in affitto al cliente, che si impegnerà a versare la cifra corrispondente in più rate mensili, pagando una commissione sul servizio ottenuto. Quando avrà pagato tutte le rate, il cliente diventerà proprietario della casa.

Da quando sono nate, le banche islamiche sono cresciute a un tasso annuo del 15 per cento, e il loro giro d’affari attuale è pari all’1 per cento del mercato finanziario globale. Anche i Sukuk, le obbligazioni islamiche, hanno conosciuto un grande sviluppo. Basti pensare che solo nel 2007 le emissioni di titoli conformi alle leggi coraniche hanno superato i 30 miliardi di dollari.

Laddove l’amministrazione Pd a Torino aveva dato vita al primo forum di Finanza Islamica, il nuovo sindaco grillino, Chiara Appendino, ha deciso di fare di più: permettere una colonizzazione islamica delle banche nel capoluogo piemontese, con la conseguenza di ammettere anche i principi della sharia. Il messaggio del sindaco è teso a raggiungere un paio di obiettivi: integrare meglio i musulmani in città (sono circa 50mila a Torino), permettendo loro di accedere al credito e di acquistare case o aprire attività commerciali; e attrarre investimenti significativi da parte di Paesi islamici.

Beatrice Ciminelli

Pertanto, si impongono un paio di riflessioni. Accogliere la finanza islamica significa accettare la sottomissione ideologico-culturale all’intero sistema di riferimento islamico; e quindi recepire i principi della sharia che, quanto alle banche, impongono il divieto di interessi sui prestiti e la necessità di investimenti responsabili e non di speculazione. Nel Corano, infatti, sono molteplici i versi nei quali si possono riscontrare precetti di carattere economico come:
– sura 2 Al-Baqara verso 275
“il commercio è come l’usura ma Allah ha permesso il commercio e proibito l’usura”;

– sura 2 Al-Baqara verso 276
“Allah ha privato l’usura di ogni benedizione ma ingrandirà le azioni caritatevoli”
.

È insomma l’introduzione di un codice etico in un ambito di per sé scevro da criteri morali come quello della finanza, che bolla come “proibite” attività connesse ab origine con il sistema creditizio in Occidente, dalla liceità di arricchirsi facendo prestiti alla libertà di investire denaro in qualsiasi ambito.

Dall’etica protestante e lo spirito del capitalismo (la ricchezza come segno della benedizione di Dio) all’etica musulmana e lo spirito del capitalismo islamico (solo ciò che è benedetto da Dio è considerato ricchezza). In senso più profano, è il tentativo del mondo musulmano di colonizzare il nostro continente attraverso il Capitale, di comprarci laddove non riesce a convertirci o a sottometterci. Usare le banche in luogo delle moschee, gli investimenti al posto dei sermoni. Ecco i due mali di cui l’Europa oggi è succube: la Finanza guidata dall’alto e dall’esterno, da misteriosi soggetti stranieri, e l’islamismo, inteso come progetto politico-culturale, oltreché religioso, di conquista del continente.

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