La vera grande lezione del coronavirus: rafforzare il Servizio Sanitario Nazionale e potenziare i presidi sanitari nelle aree interne della regione.

Ora che il piccolo virus venuto da lontano, invisibile piovra dai lunghissimi tentacoli, si è materializzato sprezzante dei confini, stabiliti da trattati o demarcati da limiti geografici, e colpisce ad ogni latitudine in maniera subdola e proditoria, vacillano antiche certezze, mettendo a nudo debolezze e disfunzioni del sistema sanitario nazionale e della organizzazione dei sistemi delle singole regioni.

Antonio Amatucci

Se fino a novembre 2019 i risultati della performance del SSN italiano indicavano l’Italia ai primi posti della graduatoria mondiale, il coronavirus ha offuscato non poco tale primato, materializzando debolezze insospettate, soprattutto nelle Regioni del Nord opulento, ove, pur in presenza di risposte puntuali dalle poche strutture pubbliche, esse si sono dimostrate insufficienti a fronteggiare una situazione degenerata di fronte alla virulenza dell’epidemia.

E’ sostanzialmente venuta meno tutta quella sanità privata con professionale unicità alla mobilità passiva delle Regioni del Centro e del Meridione, che non è stata programmata per fronteggiare l’emergenza, ma per attrarre mobilità indotta dalle grandi performance di elezione.

La constatazione della grande difficoltà nella quale si è mossa la sanità nelle regioni più ricche, è la grande dimostrazione per tutti che bisogna rafforzare il SSN nazionale, grande conquista voluta nel 1978 con la legge Anselmi, unico capace di rispondere adeguatamente alle emergenze ed agli inderogabili bisogni di salute sanciti dall’art. 32 della Costituzione,

“un sistema solidaristico ed universale che garantisce assistenza e cure a tutti, senza distinzione di classi sociali e senza oneri, perchè finanziato dalla fiscalità generale.”

Per fare questo, è indispensabile riequilibrare le risorse tra regioni del Nord e del Sud, laddove oggi esiste macroscopica sperequazione a danno del Sud, con trasferimenti statali che privilegiano il Nord e che vengono attribuiti, in quelle regioni, in buona parte alla sanità privata.

Non è possibile, dai dati forniti dal Rapporto 2019 della Corte dei Conti sul Coordinamento della finanza pubblica, che il 42% delle risorse pubbliche per la sanità venga attribuito al Nord, mentre al Sud siano destinate solo il 23%, poco più della metà. In termini pro-capite , dai dati ISTAT, risulta che le regioni del Nord superano i 2000 euro pro-capite, mentre al Sud la media di attribuzione è intorno a 1750 euro, cosa che, per intenderci, comporta un trasferimento di miliardi di euro in più a favore delle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali.

Bisogna, pertanto, che nell’ambito di un reale riequilibrio nei trasferimenti statali, il Sud sia messo nelle condizioni reali di programmare un efficiente servizio sanitario, offrendo le garanzie costituzionali tanto conclamate in linea di principio; solo se all’ultimo cittadino del più piccolo comune meridionale sarà garantito eguale attribuzione rispetto al cittadino della metropoli del settentrione, questo stato avrà applicato con giustizia i principi costituzionali del diritto alla salute.

Ma il piccolo virus, invisibile “Terminetor” dei nostri giorni, dopo aver disseminato il suo morbo e lutti al Nord, ha travalicato monti e pianure, percorso gallerie, mari e spazi aerei ed è arrivato anche al Sud, dove la sanità non è solo penalizzata per i ridotti investimenti del settore, ma paga anche ingenti risorse al Nord per i “così detti viaggi della speranza”.

Oggi ha raggiunto anche noi lucani, con la nostra sanità fortemente squilibrata a favore delle aree forti della regione, risultato di una pseudo-riforma che ha fortemente penalizzato le aree interne della regione e che ha risposto solo alle esigenze di una oligarchia tecnocratica, che, attraverso quella costruzione, si è auto- perpetuata nei gangli del potere sanitario regionale.

Chi ci ha letti in questi anni sa delle battaglie, anche aspre, sostenute con il Comitato “la nostra voce”, per il potenziamento degli ospedali delle aree interne, soprattutto quello di Chiaromonte, ultimo baluardo in questo territorio per la difesa del diritto alla salute sancito dalla Costituzione.

E’ stata una battaglia, probabilmente, persa per la mancata comprensione dell’importanza di un’aspirazione che doveva essere comune e condivisa da tutti, che ci ha fatto, perdere anche qualche amico politico, ma che non ci vedrà condannati dalla storia per non esserci omologati ad una decisione ingiusta, quanto Irrazionale.

Oggi l’invisibile nemico, che ci minaccia da vicino, pare abbia risvegliato quel comune sentire indispensabile nelle grandi battaglie di principio, coinvolgendo una platea più responsabilmente dedita a chiedere l’intervento della politica.

Abbiamo apprezzato lo sforzo che il Governo regionale compie per dare risposte a questa emergenza, ma i 63 posti della terapia intensiva potrebbero essere insufficienti e gli altri posti ipotizzati per gli affetti solo da COVID a Matera, Potenza e Venosa non bastare, in ogni caso coprirebbero i giusti bisogni di altre aree. Resterebbe sguarnita solo l’area Sud della Basilicata, dove insiste una delle poche strutture sanitarie adeguate alle norme sismiche e di sicurezza della regione, l’Ospedale di Chiaromonte, nel quale potrebbero essere recuperati dai 50 ai 70 posti. Ecco perché chiediamo con realismo un atto di giustizia al Presidente Bardi ed al suo governo. Diano una inversione di tendenza alla politica sanitaria regionale, nel segno del cambiamento tanto annunciato.

Si sforzino di guardare finalmente anche a questo territorio, in eterna aspirazione ad atti di riequilibrio territoriale e di giustizia sociale.

La storia degli uomini è caratterizzata anche da divergenze politiche e da visioni statuali diverse, ma gli atti di giustizia non potranno essere dimenticati da nessuno, men che mai dalla storia.

2 riguardo a “La vera grande lezione del coronavirus: rafforzare il Servizio Sanitario Nazionale e potenziare i presidi sanitari nelle aree interne della regione.

  1. L’articolo esaustivo di Antonio Amatucci mi stimola a un breve commento :

    Il dibattito tra la sanità pubblica e quella privata è sempre all’ordine del giorno. Mentre il settore pubblico riduceva il numero di ospedali e posti letto, i fondi girati alle strutture private aumentavano. A tale paradosso fa da contraltare la spesa sanitaria come il costo dei farmaci, apparecchi più sofisticati a cui si unisce l’invecchiamento della popolazione. Concordo sul fatto che la sanità pubblica ” caratterizzata anche da divergenze politiche ” vada potenziata Punto. Con la sanità privata, invece, finanziata dal pubblico grazie alle convenzioni, i proprietari si sono costruite immense fortune. L’uscita fatta, tempo fa, da Giorgetti della Lega sul superamento dei medici di famiglia la dice lunga e fa il paio con la sanità privata. La scelta del modello sanitario da adottare dovrebbe essere ben ponderata e considerare che in una Regione dove il mercato è ristretto verso i pochi abitanti, il punto di fondo sarebbe quello di finanziare in maniera adeguata il comparto pubblico. Il Coronavirus ci ha mostrato e continua a mostrarci la nostra ottima sanità dinanzi a una tragedia, divenuta globale, dinanzi a scenari sconosciuti prima e di conseguenza quando tutto sarà finito, andrà tutto ridiscusso a cominciare dal ruolo delle Regioni.

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