L’impegno dei cattolici in politica, di Renato Di Nubila, Università di Padova (1^ Parte)

(riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento del Prof. Renato Di Nubila, tenutosi in occasione della festa di San Tommaso Moro, patrono dei politici, 22 giugno, organizzato dalla Diocesi di San Marino)

Con molta consapevolezza e con amichevole franchezza ecco alcune mie riflessioni sul possibile nuovo impegno dei cattolici “in politica”. Nella Laudato si’ ( LS )…,al pressante invito a “saper guardare con la stessa capacità di sorprendersi e di intenerirsi per la bellezza del Creato”, Papa Francesco fa seguire, con fermezza, la convinta esortazione per un dichiarato e rinnovato impegno a ripensare alla centralità della politica come servizio e “come la più alta forma di Carità”,(ricordando un’espressione di Paolo VI). (LS. 91,82,26,54-56,68)).

E aggiunge: “Non estamos a balconar! Non stiamo a guardare la vita dai balconi!”. Dopo mesi di sofferenze, di lutti e di difficoltà economiche, oggi viene allora da chiedersi:

  • Come riprendere il cammino e come migliorarlo? (Tornare alla normalità…non basta…! O ad una “normalità straordinaria” come dice spesso Alex Zanardi)
  • Può la politica ripensare i suoi percorsi, i suoi rituali, i suoi errori” e i suoi limiti, insieme alle sue ancora possibili e positive potenzialità?
  • In particolare: il cattolico prestato alla politica, quale valore aggiunto può esprimere oggi, in una società sempre più complessa? sempre più segnata da contrapposizioni e spesso anche da odio e violenza?

Di conseguenza, c’è il rischio di cedere alla forte tentazione del disimpegno, del rifiuto, per non sporcarsi le mani nella politica, ricorrendo ad una sorta di “responsabilità indifferente”, come controsenso di una responsabilità consapevole (nell’ottica di una “rigorosa etica responsabile” per citare le recenti espressioni del Presidente Mattarella ai Magistrati…!).

Merita qui ribadire quel che il mio amico Stefano Zamagni scrive “il cristiano coerente non può non essere interessato alla politica, perché la sua stessa esperienze di credente lo rende attento alla dimensione del bene comune, cifra sintetica dell’idea e dell’azione politica “.

Vale a dire che siamo chiamati ad essere sempre pronti a rispondere a chiunque ci chieda ragione della speranza che portiamo con noi. Di conseguenza, il nostro tipo di intervento in politica è necessariamente testimoniale e non può essere egemonico.

  • Ma questa determinazione chiede al cristiano in politica la possibilità di delineare un modello sociale verso cui indirizzare l’azione politica: esso non può rassegnarsi al modello bipolare di Stato e Mercato; deve andare oltre, verso un modello più completo di Stato, Mercato e Comunità, per puntare ad una economia civile di mercato e di modello di sviluppo più giusto e più equo. L’obiettivo è liberarsi dalla gabbia dei meccanismi impersonali di una economia che frappone ostacoli all’idea che si possa costruire un’altra economia, capace di interessarsi e coltivare il bene comune.
  • Ma, a questo proposito, siamo proprio convinti che l’espressione “bene comune” sia intesa correttamente come area plurale ed esigente di condivisione, di comportamenti coerenti, di impegnativa visione personalistica per i bisogni, gli interessi, le speranze della gente…e non uno slogan dei nostri tempi? (Ne parlavano già Aristotele, San Tommaso…filosofi e umanisti…) (LS.156-157,160).

Tutti, in questi giorni, abbiamo toccato con mano il senso drammatico della crisi prodotta dalla pandemia, fra lutti, sofferenze e drammatiche difficoltà economiche (Nuovi poveri…tanti disoccupati in più, aziende allo stremo…); abbiamo potuto costatare la crisi della proposta economica neo-liberista e il fallimento del modello di sviluppo di un capitalismo disumano e sfrenato. Siamo allora indotti oggi a pensare ad un post-capitalismo più equo e più giusto, più attento alla PERSONA.

Basilica di San Marino

Il cattolico in politica è dunque chiamato a concorrere responsabilmente a ridisegnare le politiche che tutelino la Persona (con dignità e rispetto), che tutelino la Società(per ridurne le disuguaglianze e assicurare lavoro) che rispettino la Natura (per assicurare una transizione ecologica) come dice Papa Francesco. E’ proprio questo il senso più impegnativo dell’ecologia integrale (LS, 111; 138-147; 153-154; 230-231): non solo ambientale, ma anche sociale, economica, culturale, che s’impegni per il bene di tutti – singole persone e famiglie (in questo momento di indebolimento dell’istituto famigliare) – e sappia guardare al futuro. (Querida Amazonia (QA), cap.3).

Emerge quindi la necessità di governare questa transizione attraverso una riflessione che sappia rimettere coraggiosamente al centro del quadro normativo, sociale e organizzativo la Persona, come diritto sussistente (A.Rosmini).

Mi chiedo allora: le imprese e i loro manager, possono fare qualcosa per rompere questo schema, trasformando il lavoro, da indicatore di performance, a moltiplicatore di benessere? Come possono aiutare le persone a “esistere” e non soltanto a “funzionare”?.

Prof. Renato Di Nubila

Sappiamo che il presupposto fondante di ogni democrazia moderna è il principio di eguaglianza, nel doppio significato di assegnare uguale valore alle differenze che formano l’identità di ognuno e di riconoscere uguale disvalore alle disuguaglianze che non permetterebbero la piena realizzazione della persona. Eppure, nonostante questo principio sia condiviso a livello teorico, ci sono settori in cui c’è ancora molta strada da fare.

  • Il Coronavirus, ad esempio, ci costringe a rivedere i già pericolanti paradigmi culturali, ambientali, e organizzativi precedenti: non abbiamo forse bisogno di un nuovo welfare che faccia emergere e valorizzi quel lavoro di cura non ancora riconosciuto, in una sorta di cittadinanza ecologica, che rifiuta la cultura dello scarto?
  • E ancora: Che impatto avrà l’iper-connessione dello smartworking sulle relazioni familiari, sul benessere psico-sociale della persona e, in particolare, anche dei processi educativi?
  • Se il tempo del Coronavirus è stato l’occasione per mettere in scena un paese solidale, vicino ai malati e ai loro familiari, per cui abbiamo applaudito gente pronta a mettersi a servizio degli altri, allora si pone la necessità di un coraggioso “Patto socio-educativo” intergenerazionale che metta giovani e adulti in alleanza, per costruire nuovi orizzonti di convivenza, di fratellanza e di nuova educazione.
  • Si pensi agli Adolescenti “social solitari” e ai tanti Adulti a rischio di triste solitudine; significativa l’esperienza della Diocesi di Bologna, insieme alle Acli, con i bambini che hanno adottato – per telefono – i nonni soli!
  • Ma non vorrei dimenticare la crisi dell’Associazionismo – le Associazioni culturali sono molte…– ma sembrano abbiano perso lo slancio che le caratterizzava come “corpi vitali della società” (A.Ardigò.). Un impegno politico responsabile deve poter affrontare questo problema, incoraggiando anche forme di partenariato per iniziative comuni che mobilitino le migliori energie dei vari componenti.

  • La crisi potrebbe allora trasformarsi in un’occasione straordinaria per mettere a fuoco l’improrogabile urgenza di assicurare comportamenti più umani, un lavoro decente e un’economia a misura d’uomo?

Sì, lavoro e crescita, sono tra i più importanti obiettivi dell’ONU nell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, fatto di salute, sicurezza, benessere e di un innovativo human resourse management e che può diventare oggi il PROGETTO DEL PAESE, come consapevole impegno di bene comune e come tappa verso una “rivoluzione 4.0”, quale senso di marcia che guarda al futuro di questo nostro e singolare Paese.

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