Mosè Antonio Troiano
San Paolo è il paese meno popoloso della Basilicata… ma oggi si fregia di essere il più grande di tutti perchè sta ospitando un evento di straordinaria levatura: Il piccolo diventa grande il margine diventa centro che questa Amministrazione assieme all’Ordine degli Assistenti Sociali della Basilicata ha messo in piedi.
Ringrazio il Presidente dell’Ordine, il Dott. Giuseppe Palo, che dal primo momento in cui ci siamo sentiti, è nata una forte sintonia tanto da giungere ad organizzare un incontro socio-politico qui a San Paolo Albanese presso la Sala Convegni e la realizzazione di quattro laboratori presso il Museo della Cultura Arbëreshe, con la partecipazione di un’altissima percentuale degli Assistenti Sociali della Basilicata.
Visto il tema dell’argomento, uno dei primi concetti che mi viene in mente, è il termine inclusione, cioè l’atto di includere, di inserire un elemento in un gruppo.
In ambito sociale, essere inclusi significa soprattutto sentirsi accolti: appartenere a un gruppo di persone, a una società, godere pienamente di tutti i diritti e le opportunità che questa appartenenza comporta. L’inclusione, dunque, è radicalmente diversa sia dall’assimilazione sia dall’integrazione.
Per essere inclusi nel gruppo non deve essere necessario adeguarsi, modificare le proprie caratteristiche personali per essere uguali agli altri.
Inclusione dell’altro significa che i confini della comunità sono aperti a tutti.
Una società inclusiva, dunque, deve eliminare ogni forma di discriminazione.
Tra gli individui, infatti, ci sono differenze che possono portare all’esclusione sociale:
- la razza,
- il sesso,
- la cultura,
- la religione,
- la disabilità.
La discriminazione per uno di questi motivi può avvenire in ambito lavorativo, per esempio se un datore di lavoro decide di assumere o non assumere un candidato in base al sesso, in ambito politico, per esempio se un gruppo etnico non è adeguatamente rappresentato nelle sedi istituzionali, o in ambito sociale, se l’accesso a servizi fondamentali non viene garantito alle persone disabili.
L’esclusione sociale, dunque, è l’impossibilità per un individuo di partecipare pienamente alla vita della comunità. Può derivare anche da condizioni di forte deprivazione e disagio.
La mancanza di risorse economiche adeguate spesso comporta un accesso limitato ad ambiti sociali quali l’educazione, l’assistenza sanitaria, il lavoro, l’alloggio, la tecnologia e la vita politica e culturale. Una posizione economica marginale porta facilmente all’isolamento sociale e alla perdita del senso di appartenenza. Povertà ed esclusione, dunque, sono strettamente legati e spesso l’una è causa dell’altra. E l’impoverimento riguarda anche l’aspetto relazionale: la precarietà economica conduce alla solitudine, alla carenza culturale, alla mancanza di legami familiari e sociali, alla marginalità.
Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia le persone in gravi difficoltà economiche sono 5.600.000, il 9,4% della popolazione, pari a oltre 2 milioni di famiglie. E il Rapporto 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia della Caritas sottolinea che durante l’emergenza Covid-19 l’incidenza dei “nuovi poveri”, cioè di quanti hanno chiesto aiuto per la prima volta, è passata dal 31 al 45%.
Soggetti e categorie a rischio esclusione
Discriminazioni e povertà possono dunque compromettere la possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale. Questo provoca un senso di insicurezza, di vulnerabilità, di precarietà e di inadeguatezza che condanna le persone a una marginalità sempre più estrema.
Nelle società contemporanee le categorie maggiormente vulnerabili e a rischio discriminazione sono le persone senza fissa dimora, i disabili, i detenuti o ex detenuti, le persone con dipendenze, gli anziani, gli immigrati, i rom, le famiglie numerose o monogenitoriali, i minori e le donne.
L’adozione di interventi economici e sociali efficaci mirati a favorire l’inclusione è una priorità a livello internazionale. L’obiettivo numero 1 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (SDG1), per esempio, è proprio la sconfitta della povertà.
L’ONU chiarisce che “la povertà va ben oltre la sola mancanza di guadagno e di risorse per assicurarsi da vivere in maniera sostenibile. Tra le sue manifestazioni c’è la fame e la malnutrizione, l’accesso limitato all’istruzione e agli altri servizi di base, la discriminazione e l’esclusione sociale, così come la mancanza di partecipazione nei processi decisionali. La crescita economica deve essere inclusiva, allo scopo di creare posti di lavoro sostenibili e di promuovere l’uguaglianza”.
L’SDG 10, invece, impegna a “potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, sesso, disabilità, razza, etnia, origine, religione, stato economico o altro; ad assicurare pari opportunità e ridurre le disuguaglianze nei risultati, anche eliminando leggi, politiche e pratiche discriminatorie e promuovendo legislazioni, politiche e azioni appropriate a tale proposito”.
Tra le categorie maggiormente a rischio di esclusione sociale ci sono le persone disabili.
Su questo si apre un tema di grande interesse.
Progetti di inclusione e integrazione per evitare l’esclusione sociale
Il 28 luglio 2021 la Rete della Protezione e dell’Inclusione Sociale, presieduta dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha approvato il nuovo Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali per il triennio 2021-2023.
La Rete è nata nel 2017 per ridurre le fortissime disparità territoriali nell’accesso ai servizi e nella fruizione dei sostegni. Ora la Rete dovrà lavorare alla riforma del sistema di misure per la non autosufficienza, prevista per il 2022.

Altre riforme sono previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato nel mese di aprile 2021.
- Primo fra tutti, il Family Act (Legge sulla Famiglia), che contiene misure per il sostegno alle famiglie con figli, per la promozione della partecipazione al lavoro delle donne, per il sostegno ai giovani.
- E poi la Legge quadro sulla disabilità, volta a rafforzare l’offerta dei servizi sociali, semplificandone l’accesso, e a promuovere progetti di vita indipendenti.
Un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi è il concetto di anziano.
San Paolo, come tante altre Comunità di aree Interne, hanno, in proporzione, un forte numero di anziani rispetto alla popolazione.
Per l’Istat ed il Ministero della Salute sono anziani gli ultrasessantacinquenni.
Nel 2018, però, durante il Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), è stato proposto di far “slittare” questo passaggio ai 75 anni. Secondo la SIGG, per effetto dell’allungamento della speranza di vita media alla nascita (in Italia 85 anni per le donne e 82 per gli uomini), tra le persone con più di 65 anni va distinto chi appartiene alla terza età (caratterizzata da buone condizioni di salute, inserimento sociale e disponibilità di risorse) e chi alla quarta (segnata da dipendenza dagli altri e decadimento fisico). In sostanza la proposta che arriva dalla SIGG è quella di aggiornare il concetto di anzianità, rendendolo più dinamico e innalzandolo di dieci anni. Perché? “Un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa e un 75enne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980. Oggi alziamo l’asticella dell’età ad una soglia adattata alle attuali aspettative nei paesi con sviluppo avanzato”.
Quanti sono gli anziani in Italia oggi
In Italia, secondo i recenti dati Istat (relativi ai soli residenti), a inizio 2020 vivevano 13.946.954 persone con 65 anni o più. Si tratta di oltre il 23% dell’intera popolazione.
L’indice di vecchiaia del nostro Paese, relativo al 2020, è 179: con questo si intende che ogni 100 bambini ci sono più di 178 anziani. Un dato che, da un lato, conferma il miglioramento della salute dei cittadini e, dall’altro, pone problemi nuovi dal punto di vista sanitario e socio-economico. Esigenze che vanno affrontate pensando all’anziano non solo come un costo, ma come una risorsa.
L’importanza sociale degli anziani
Secondo il Rapporto Annuale 2020. La situazione del Paese dell’Istat, presentato il 3 luglio 2020, l’aumento della popolazione anziana rappresenta un vincolo e una risorsa. “Un vincolo, per le implicazioni che il carico di malattia comporta in termini di fabbisogno di assistenza; una risorsa perché́ le persone anziane sono un valido supporto per le famiglie, alle quali spesso forniscono aiuto per la cura dei figli e per il ruolo redistributivo di natura intergenerazionale svolto con i loro redditi da pensione nei casi di disoccupazione o di perdita del lavoro dei più giovani, contrastando così il rischio di povertà, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.”
Dai dati relativi al periodo 2016-2019 di PASSI d’Argento, un sistema di sorveglianza della popolazione anziana coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, emerge che quasi una persona su tre (29%) rappresenta una risorsa per i propri familiari o per la collettività: il 19% si prende cura di congiunti, il 14% di familiari o amici con cui non vive e il 5% partecipa ad attività di volontariato. La capacità o volontà di essere una risorsa per gli altri è più diffusa tra le donne (32% rispetto al 24% negli uomini) e si riduce notevolmente con l’avanzare dell’età (coinvolge il 37% delle persone tra i 65 e i 74 anni, ma appena il 9% di chi ne ha più di 85), è minore tra le persone con un basso livello di istruzione e tra chi ha difficoltà economiche. Svolgere un’attività lavorativa retribuita è poco frequente (6%) ed è prerogativa di persone con un più alto titolo di studio, residenti nel Centro-Nord del Paese. Secondi i dati Istat relativi a invecchiamento attivo e condizioni di vita degli anziani in Italia, più di un anziano su quattro (26,8%) dichiara di avere fornito assistenza a bambini e nipoti, e il 13,2% ad adulti non conviventi.
Mi avvio alle conclusioni chiudendo con un tema fondamentale ed una proposta forte.
Il tema è Fare comunità.

Scuola e lavoro sono certamente i capisaldi dell’inclusione sociale, ma per vivere pienamente la vita della propria comunità sono altrettanto importanti le relazioni, le amicizie, il tempo libero, la cultura, lo sport.
La proposta è quella creare, qui a San Paolo ma mutuabile anche in altre Comunità, con l’aiuto dell’Ordine degli Assistenti Sociali e nei modi previsti delle norme e previa costituzione, a coronamento della manifestazione di oggi, della Associazione di Comunità “Shën Pali” con le finalità istitutive che gli stessi temi indicati nel programma di oggi mettono in evidenza.
L’Associazione, senza scopo di lucro e, quindi, senza interessi personali da temere, potrà tenere insieme l’intera comunità, che nei fatti c’è già ed è la comunità arbëreshe di cui, vicini o lontani, facciamo tutti parte. Tenerla insieme significa che l’Associazione potrà farsi carico di attivare relazioni solide, durature, continue e mobilitare idee, opinioni, condivisioni, proposte e suggerire, poi, a ciascuno degli interessati il modo di renderle operative.
A che serve tutto questo? Non è solo un problema di sensibilizzazione, di servizio assistenziale per chi non ce la fa da solo o di chi non ce la può fare, ma anche un processo organizzativo finalizzato alla rigenerazione, rivitalizzazione, ricostruzione di quell’immenso patrimonio naturale e culturale, di cui San Paolo è proprietario, depositario, custode: dagli usi, costumi, tradizioni, valori materiali e immateriali della cultura arbëreshe rinvenienti dalla cultura orale, dal passaparole, dall’eredità trasmessa dai vecchi ai giovani e dall’ascolto attento dei giovani del racconto dei vecchi. Ci sono strutture adeguate allo scopo, come quella del Museo e come quella per dell’assistenza agli anziani, della cui gestione anche in collaborazione, per esempio, con l’Ordine degli assistenti sarà utile progettarne la organizzazione. Ma ancor vi è un immenso patrimonio culturale, fatto di vecchi saperi, vecchie tecniche e maestrie, e naturale, fatto di biodiversità agricole, di terreni, di ex-coltivi abbandonati, di semi e di varietà, di cui si può recuperare vitalità e produttività attraverso iniziative collettive di cura, di manutenzione e di coltivazione.