Armando Lostaglio
Sarà in sala il 5 ottobre il film Good Vibes, che segna l’esordio alla regia di Janet De Nardis, sceneggiatrice, attrice e conduttrice alla prova con un ambizioso thriller fantasy di ottima fattura. Nel cast figurano Caterina Murino, Vincent Riotta, Nicola Pecci, Ludovico Fremont con la partecipazione di Mimmo Calopresti.
Good Vibes – prodotto e distribuito da Toed Film e realizzato con il contributo del Mic e della Fondazione Calabria Film Commission – mette in luce cinque storie che si intrecciano sull’uso eccessivo e maniacale della tecnologia. È un film dai cerchi concentrici, il ritratto di una società in disarmonie permanenti. Ovvero, geometrie di un triangolo isoscele, che alla base detiene e sorregge vite comuni, ma che al vertice dei due lati simili intravvede quel bisogno interiore di ambire verso l’apice, e di esistere malgrado ogni dramma umano, quotidiano e “normale”.
Una buona regia e una storia che cattura lo spettatore, e rivela nelle nuove tecnologie lo strumento di controllo come in un eterno “grande fratello”: Orwell è stato più lungimirante di quanto avesse preventivato. Il film resta in linea con un linguaggio fresco e giovanile quanto basta per i gusti correnti; le rette parallele si susseguono e si avvolgono nella narrazione con punti sospensivi di sceneggiatura, mentre il finale lascia ancora una volta nel limbo di un pathos fra lo psicologico e il surreale.
Bravo il regista Mimmo Calopresti che qui veste il ruolo di un cattivo, nel quale si stenta ad immaginarlo. Abbiamo parlato con la regista (che ha origini italo-canadesi) al debutto dietro la macchina da presa. Gentile Janet, una carriera brillante la tua, ed ora dietro la macchina da presa. È un percorso che prevedevi, un sogno coltivato che si realizza? – Un percorso sempre sognato, desiderato, ma che non avevo il coraggio di prendere in considerazione. Alla fine è stata la vita che mi ha condotta fin qui. Ricordo il mio corso di teatro, quando diciannovenne arrivai a Roma per studiare architettura, e mentre mi laureavo, continuavo a studiare musica, canto, e infine sempre cinema, recitazione e sceneggiatura. E poi l’approdo alla direzione artistica di varie realtà. Insomma, tanta gavetta e tanta scrittura. Fino alla regia, anche sulla spinta di mio marito il quale riteneva che avevo la vocazione verso lo sguardo estetico, con una predisposizione ad una visione d’insieme. Pertanto, mi sono lasciata prendere. Ho scritto diverse sceneggiature con vari colleghi fino a giungere a Good Vibes. E sul set ho capito quello che avrei voluto davvero fare nella vita: trovare l’inquadratura perfetta, dare una visione a quel sentimento, dirigere una squadra e portare quelle persone ad amare quel momento. Imprimere quella passione che è il cinema.
Il tuo film gioca con cerchi concentrici, pone interrogativi sulla possibilità che le nostre vite possano essere sempre più condizionate dalle tecnologie. È un messaggio sociale che intendi lanciare, seppure fra il noir e l’ironia? – L’arte tutta e il cinema in particolare hanno avuto il compito non solo di intrattenere, ma anche di lanciare messaggi forti. Appartengo a questa seconda visione. Gli americani hanno conquistato il mondo con la forza delle immagini. Sono sempre stata appassionata di tecnologie e il progresso è sempre stato un bene, ma l’uso che se ne fa ci porta a pensare spesso che stiamo sbagliando tutto. La tecnologia può essere molto pericolosa: io sono mamma e sono preoccupata per come possono evolvere certi meccanismi; pertanto occorrerà sempre maggiore tutela per evitare che vengano fagocitate le persone che amiamo. Adoperare la tecnologia con cautela e non permettere che essa possa sostituire l’essere umano, la nostra esistenza. In questo mio film la riflessione sulla tecnologia è fortissima, al fine di evitarne l’abuso: i dati sensibili utilizzati contro noi stessi.
Cosa si prova a dirigere dopo essere stata più volte diretta? C’è un autore o più autori che ti ispirano? – E’ molto più interessante dirigere che essere diretta. Non ho mai amato interpretare le vite degli altri, sto molto bene nella mia pelle. Mi appassiona invece far trovare le chiavi giuste agli altri. Penso di essere molto empatica al punto di dire che non ho bisogno di vivere altre vite per capire certi dolori e certe passioni. Guardando gli altri si guarda sempre se stessi. Sono diversi gli autori che amo, ma uno in particolare mi colpisce ed è Christopher Nolan.
Lasciamo Janet al suo auspicabile successo, mentre ci sovviene un verso di Charles Peguy, scrittore francese: Un uomo non viene determinato da ciò che fa e ancor meno da ciò che dice. Se guardiamo in fondo, un essere è determinato unicamente da ciò che è.