Antonio Fortunato
De Minco questa volta nei suoi ricordi è un vero filosofo oltre che un grande sociologo, perché riesce a descrivere la vita del paese cadenzata dalle
festività e dalle ricorrenze negli aspetti più reconditi dell’animo del francavillese. Dopo il Natale e il Capodanno, ricorda l’Epifania, il Carnevale e la Quaresima mettendo in evidenza la necessità per la salute psichica e anche fisica di godere di una giornata festiva, “diversa dalle altre” e il momento particolare che si vive quando si è alla vigilia dell’evento agognato. Mi viene in mente il Leopardi con il suo “Sabato del villaggio”. Oggi, a differenza degli anni trenta e quaranta, secondo me, si e’ perso il gusto di una giornata diversa dalle altre, vuoi perché le occasioni di svago sono tantissime e quindi non facciamo in tempo a gustare un sano divertimento, quando se ne presenta un altro a cui non diciamo di no. E allora si entra in giro perverso che è quello della ricerca affannosa di un’altra giornata diversa dalle altre che ci porta immancabilmente a vivere una vita da insoddisfatti. E vuoi perché siamo entrati in una forma di vita più individualistica e più dinamica. Allora facciamo tesoro del libro “Elogio della lentezza” di Lamberto Maffei-edizioni il Mulino, per poter rivivere il periodo degli anni passati. “In un mondo che corre vorticosamente, con logiche spesso incomprensibili, il problema della lentezza si affaccia alla mente con prepotenza, come una meta del pensiero”. “Un falchetto rotea lentamente ed elegantemente nel cielo, …vaga vaga con infinita pazienza, poi improvvisamente si precipita verso terra a grande velocità… risale con una preda. La biologia è una grande maestra per l’attento osservatore!” Pensiero lento, agire rapido.
Antonio Fortunato
Dal libro “Francavilla sul Sinni” di Antonio De Minco
Pubblichiamo il capitolo
Epifania – Carnevale – Quaresima
Dopo il primo dell’anno, nella lunga o breve, a seconda delle considerazioni di ognuno, delle sequenze delle giornate festive, di quelle giornate che, a differenza del quotidiano vivere, ingeneravano qualche giorno prima ma soprattutto la vigilia, uno stato d’animo lieto, rilassato e che in quei particolari momenti di rilassamento si poteva prefigurare uno stato di gioia, di speranza nell’avvenire, nella possibilità di manipolare l’esistenza, da piegarla ai propri desideri e obiettivi, tutti si aprivano alla speranza, alla felicità. Quanto è salutare per la vita psichica ed anche fisica una giornata festiva, “diversa dalle altre”!
Scorrere come le acque placide di un fiume, senza alcuna lotta, senza nessun impegno, senza la speranza del nuovo, priva di fantasiosi progetti per l’avvenire e seguendo inutili ritualismi, se fosse stata così dall’alba della comparsa dell’uomo, la vita sarebbe scomparsa, l’uomo annichilito, decaduto e distrutto. Ecco la ragione per la quale districarsi nell’esistenza è sempre stata una condizione “sine qua non” della vita dell’uomo. Lavorare, soffrire, godere… esaltare la legge dei contrari e camminare armato di quella forza interiore che spinge verso la vita e non verso la morte. Ligio alle osservanza delle norme ed ai precetti religiosi, il francavillese con formalismo, rigore e puntualità era sempre presente, anche se con i suoi irrisolti problemi economici e con un futuro non molto dissimile a quello del presente. L’Epifania, il 6 di gennaio, giorno in cui si commemora la visita dei re magi a Gesù, giorno di regali e di aspettative. Giorno e festività religiosa-civile in cui l’aspetto ludico prevale sulla ordinarietà dell’esistenza. I bambini aspettavano i doni della Befana, simbolo rigenerativo di speranza, gioia felicità; stimolo a far meglio nella vita; corroborante energia delle impegno a scuola e molla di accrescimento dell’affetto verso i propri genitori.
I bambini cristallizzano quel mito, in cui aspetto esteriore era pur sempre l’elargizione di un dono. Mentre per adulti quella credenza arrecava il vantaggio del controllo e della socializzazione.
Solo che alcune volte ed è pur vero la differenziazione nelle intelligenze e nelle immaginazioni, qualche bambino si poneva e poneva ai genitori qualche domanda di natura complessa.
“se la befana, che pur utilizzando una scopa come mezzo di spostamento, ha poteri così vasti e straordinari, perché non ci porta giocattoli e cose più preziose, anziché poche caramelle, un arancio dei fichi secchi e qualche giocattolino di legno?”.
E si, perché in quella realtà e in quell’epoca come si rileva da altre pagine di questi ricordi, la miseria era imperante.
Ogni momento storico, come ogni situazione sociale ed economica come ogni personalità umana, hanno le loro peculiari condizioni sorreggenti, che necessariamente mutano col mutar dei meccanismi generanti. Eravamo tutti felici, piccoli e grandi in quella realtà! Poiché l’epifania era ed è la seconda festività in un ordine crescente dallo zero, ma conseguente al Santo Natale e Capodanno, si diceva “l’epifania tutte le feste porta via”. Seguiva così un certo tempo o periodo di caduta di stimoli e di speranze. La routin quotidiana riprendeva il sopravvento dell’intera struttura sociale ripiombare nella meccanica ripetizione del sempre uguale. Arrivava così come impone la successione del tempo, il carnevale. La speranza si riaccendeva. L’uso della maschera con quel significato di trasmutazione della propria condizione, di rottura di schema stantio, di acquisizione di libertà sicurezza, davano a quegli interpreti una nuova identità, anche se è fittizia, ma tanto agognata. Quei momenti erano paragonabili, per stati d’animo rigenerati, al rovesciamento di un vestito vecchio ma rielaborato ed apparentemente nuovo. Credo che tra le attese, non andasse disgiunto quella di godere di un buon piatto di maccheroni e gli polpette di carne: tradizioni che si perpetuava da antichi tempi andati. Infine compariva la stagione della Quaresima, con quella forza che le era congeniale e che la faceva da tiranna per quasi tutto l’anno, soprattutto in seno a tante povere famiglie. Il ritualismo così come il formalismo trovano l’humus adatto in quelle società prive di mezzi economici e di sviluppata cultura.
Antonio De Minco