Mario Di Nubila
Questa mia riflessione non vuole, ovviamente, aggiungere né integrare quanto è ampiamente “raccontato” in questi giorni dagli organi di stampa e, comunque, di comunicazione, della tragedia epocale dei movimenti migratori. L’immagine, sconvolgente, di Aylon, sulla spiaggia di Bodrum, annegato con la mamma ed il fratello, che sognava di studiare in Canada, la piccola nata in un sotto passo della stazione di Budapest, la marcia di disperati a piedi, spesso nudi, tra l’Ungheria e l’Austria, tra la Serbia e l’Ungheria e così tra altri Paesi, quali la Serbia e la Macedonia sono scene bibliche, che stravolgono ogni capacità immaginativa. Viaggi per mesi a piedi e, poi, in sconquassati barconi, che hanno dato la morte a migliaia (ad oggi se ne contano 2741!) di “fuggitivi” da luoghi di guerre, di miserie, di sofferenze disumane. Di fronte a queste situazioni tragicamente apocalittiche il cosiddetto mondo civile, europeo in particolare, non riesce a trovare forme comuni di solidarietà umana e politica. C’è una parte di solidarietà e di accoglienza, dall’altra i “muri”, i manganelli sconsiderati, gli spray urticanti dei “falchi” dell’Est. Il premier ungherese annuncia che il muro con filo spinato di 175 Km con la Serbia sarà pronto per i primi giorni di Ottobre. Identica iniziativa di un altro muro è in fase di esecuzione in Macedonia al confine con la Grecia. Mancanza di solidarietà, ancora, dalla Polonia, dalla Repubblica Ceca e dalla Slovacchia. Chi sa se alla memoria della dirigenza politica ungherese, ed in particolare del premier Orban, rifluisce il ricordo della bufera, tragica, del 1956, quando nel tentativo insurrezionale contro l’oppressione totalitaria sovietica ed i carri armati russi ben 250.000 profughi ungheresi trovarono “ristoro” ed accoglienza nell’Europa occidentale. E vale per tutto il gruppo di Visegrad (Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria), che, a fronte di trucidi dinieghi non dovrebbero avere

memoria corta e dimenticare la solidarietà dell’Unione Europea ad aiutarli ad uscire dal comunismo ed ora ricevono fondi europei in misura cospicua. Tali situazioni, di disarmonie politiche, ci riportano alla considerazione, negativa, della assenza di un governo politico europeo, come auspicava Altiero Spinelli nel “suo” Manifesto di Ventotene – più puntualmente “Per una Europa libera e unita”- nel 1941 e per cui si sono prodigati, con grande convinzione i “grandi” dell’Europa come De Gasperi, Adenauer, Shuman, Monnet, Spaak. Una cameramen della tv ungherese N1TV Petra Lazlo prende a calci una bambina, ”disperata fuggitiva”, e fa lo sgambetto ad un padre con il bambino stretto al collo, facendoli rovinare a terra, offrendo al mondo immagine inqualificabile. La scrittrice ungherese, docente di Storia e Filologia dell’Europa orientale Agi Berta, a fronte delle posizioni nazionalistiche ed estremamente razziste, osserva come sia pericolosa tale posizione del suo Paese: ”Il nazionalismo – scrive – è una brace che cova sotto la cenere in particolare nei Paesi dell’Est europeo. Il regime comunista l’ha solo nascosta sotto il tappeto. E su quella cenere sta soffiando Orban, che definisce il suo progetto con un odioso ossimoro, democrazia illiberale. Quel muro di 175 Km. è un manifesto elettorale, che Orban sta rinforzando con altre leggi tremende, non solo per tenere lontani i migranti, quanto a parlare agli ungheresi: salverò la purezza del sangue ungherese”. E qui tornano, di certo, fantasmi di un passato funesto, in cui la teoria della purezza della razza hitleriana ha “ammorbato” l’Europa. “Mentre Merkel è riuscita, se non a cancellare, ad offuscare la colpa della shoah, l’Ungheria di oggi riabilita Hothy e antisemiti, come Balint Homann o il prelato Promaszka, primo estensore delle leggi razziali. A fronte di questo scenario di “resistenze e rifiuti”, pur in sintesi, ci sono aperture ed iniziative di grande solidarietà umana a politica di accoglienza molto significative ed operative. A partire dalle nostre piccole realtà sociali si registrano nella nostra comunità regionale atti importanti di accoglienza e di iniziative di istituzioni, di associazioni, di volontari. Fino a valutare positivamente le iniziative del Governo italiano, pur tra difficoltà organizzative e di risorse. In Europa il Governo Merkel ha aperto, generosamente, le frontiere: migliaia di Siriani, nei giorni scorsi, sono stati accolti con l’ lnno alla Gioia, con momenti da giorni di festa nella tragedia dei migranti alle stazioni di Salisburgo, Vienna, Monaco di Baviera, rappresentanti le migliaia di profughi. L’invito di Papa Francesco alle parrocchie, monasteri, santuari,

istituzioni religiose ad aprire generosamente le loro porte ai profughi per soluzioni abitative possibili e dignitose sta trovando risposte adeguate in tante iniziative. Non mancano anche in Italia distonie strumentali e demagogiche, ma sta prevalendo il senso dell’accoglienza generosa. Certo apprensioni sono manifeste nella gente, pur generosa, e non vanno sottovalutate e considerate dalle istituzioni con grande responsabile attenzione, per le possibili infiltrazioni malavitose e pericolose, che si annidano nella “torma” di profughi, veri e “falsi”: la sicurezza, che passa attraverso la identificazione dei soggetti, che arrivano nel territorio nostro ed europeo. E qui si impone, in termini urgenti, la messa in atto di strumenti, oggi insufficienti, che la rendano possibile e certa. Allo stato un emigrante su tre rifiuta di essere identificato una volta sbarcato in Italia. A fronte di tale rifiuto, è tecnicamente impossibile costringere un migrante alla procedura di identificazione. E’ quanto denunziato dal Direttore del servizio di polizia scientifica nell’audizione presso la Commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema di accoglienza degli immigrati. La riluttanza e le diffidenze di tanta gente verso i migranti, che pure ci sono, possono essere vinte non solo con esortazioni, richiami ad esempi di umana, cristiana, etica solidarietà, ma con strumenti normativi, azioni ed interventi amministrativi e di ordine pubblico, posti in essere con seria e concreta efficacia.