Antonio De Minco and Antonio Fortunato
Riprendiamo la pubblicazione dei ricordi del nostro compianto A. De Minco a proposito della discussione sull’abolizione dell’IMU e della TASI sulla prima casa. Per parlare di prima casa evidentemente ci sono persone che ne hanno due o più e che l’ottanta per cento degli italiani sono proprietari di abitazioni.
A Francavilla sul Sinni le costruzioni edilizie esistenti sono in eccesso rispetto al fabbisogno abitativo. Ma la cosa che ci conforta è il grande progresso raggiunto in termini di condizioni igienico-sanitarie, di tecnica di costruzione, di confort, di spazi che le case di oggi hanno rispetto a quelle descritte da De Minco, il quale ci fa rivivere la descrizione che Carlo Levi faceva della sua Galiano (Aliano). I nostri giovani non possono fare il confronto perché sono nati nell’epoca del benessere diffuso.
Oggi ci lamentiamo di aver costruito abitazioni molto estese con saloni enormi, stanze molto ampie, due o tre bagni; a volte le case sono disposte su più livelli soprattutto nel centro storico dove c’è stata una sopraelevazione selvaggia provocando grave disagio per raggiungere i piani superiori.
Un altro aspetto negativo è che su quelle case deserte o abitate parzialmente dobbiamo fare la manutenzione e pagare le tasse.
E in ultimo, ma la cosa è molto grave secondo me, abbiamo occupato tanto terreno delle nostre dolci colline provocando loro enormi ferite. Abbiamo trasgredito il vecchio detto paesano: “Cae’se quande ce staeje, terre quande ne gaeje” (case quanto ci abiti, terreni quanti (più) ne hai).
Commento di Antonio Fortunato
dal libro di Antonio De Minco si pubblica il racconto relativo a:
La casetta – la misera casetta del povero
La casa, l’abitazione è quel luogo entro cui si può così dovrebbe costituire e organizzare la cosiddetta cellula elementare della società, la famiglia. Se si pensa a quello che in principio era il riparo dalle intemperie e dall’aggressione da parte degli animali selvatici, la civiltà ha dato l’uomo con la casa, un mezzo molto valido e protettivo. Ricordare o riandare col pensiero le grotte, ai rami alti degli alberi, alle palafitte ed a tutto quanto potesse costituire un baluardo di difesa dal nocivo, ci si rende subito conto che, per quegli uomini di quell’epoca la lotta, per la sopravvivenza, doveva essere veramente dura.
Estendendo il parallelo alle contemporanee categorie di poveri, i quali sognano ed in particolar modo sognavano allora, all’epoca cui fa riferimento questa memoria, di possedere una casa, un alloggio, una nicchia in cui per legge di natura ogni essere deve trovare sistemazione, era e sarà sempre il primo impegno di realizzazione. Così come in tutte le comunità umane, anche in Francavilla esistevano, per quella inesorabile legge della esistenza “la povertà”, dei nuclei famigliari che versavano in tristissime condizioni economiche. Quella precaria condizione si manifestava in tutti gli aspetti esteriori e con crudo linguaggio: nelle caratteristiche delle dimore, nel vestiario, nella comunicazione verbale ed in tutte le manifestazioni che connotano l’uomo. Le loro abitazioni rivelavano mura scrostata, senza intonaco; solai costruiti con argilla e canne, pavimenti in terra battuta o mattoni grezzi e cotti, il grado senza servizi igienici; coperti o tetti in tegole rotte e sconnesse ed un tanfo permanente e penetrante. Di norma quelle erano case con un vano soltanto, in cui si poteva notare il letto matrimoniale per i genitori, a fianco o in un angolo il
letto per i figli. Ad altri triangoli, spesso si notavano gli arnesi di lavoro come zappa, badili e… al centro regnava, di solito, un tavolo sgangherato con qualche piede puntellato. Il focolare con a fianco, a ridosso del muro gli arnesi utensili per cucinare, che non andavano mai oltre una pentola, una padella e qualche caldaia più grossa. La desolazione e la miseria vi regnavano sovrane. Che strano! Come è chiaro l’aspetto ed il linguaggio muto della palesemente dove la miseria! Quella miseria che scaturisce dalla scarsità di mezzi di sostentamento e l’altra, più crudele, che affiora dalla ignoranza, dall’intelletto scarsamente coltivato. Certo che vive, per sfortuna o per indolenza in quello stato, non riesce a cogliere quelle sfumature che ne caratterizzano l’esistenza. Solo chi, invece, gode di altri privilegi e benessere, coglie tutta la sua profonda e globale bruttura che, nell’uomo sensibile genera mortificazione e nel vanitoso, invece, metro di profondo e vuoto orgoglio.
In quelle misere case, quando per congruenza di favorevoli eventi, la famiglia riusciva a procurarsi un animaletto, questo vi entrava con pieno diritto, creando attese impensabili.
Il secondo principio della termodinamica, il cosiddetto principio di entropia crescente, trovava in quelle anguste e misere case, la prova più lampante più palpabile. Gli elementi base che costituivano le risorse di quelle famiglie, potevano essere guardati ad occhio nudo. Appena ad una pertica un pezzo di lardo, dei peperoni secchi, pomodori a grappoli; in qualche sacchetto o cesto delle patate, dei fagioli secchi… alimenti che nutrivano quotidianamente quei derelitti. Quei nuclei familiari erano emarginati dal corpo sociale e anche essi stessi si auto emarginavano da ogni contesto, anche se erano parte di quella struttura, di quella comunità. Là dove, in riferimento sempre alle comunità urbane o rurali, le buone condizioni economiche raggiungono i diversi strati sociali, con quote magari differenziate, si notano interazioni tra le diverse classi, che si alimentano di meccanismi e sviluppano processi di positive evoluzioni e risultanze di benessere generale. Al contrario, laddove la miseria colpisce diversi strati sociali, lo sviluppo, inteso in tutti i campi, subisce per una legge inesorabile, arretratezza, dislivelli economici, emarginazione e quindi lotta di classe e violenza.