La casa – i parenti – gli amici

La casa – i parenti – gli amici

famiglia_3_20131222_1298435394Il nostro compianto De Minco nel racconto che pubblichiamo oggi descrive sempre da “sociologo” un aspetto molto bello del francavillese, il ritorno alla propria casa. “Il francavilllese raggruppava tutte queste caratteristiche che, uomo in mezzo agli uomini operava, agiva pur sempre con il pensiero fisso verso quella meta: la propria casa”. Che in fondo poi è il paese natio. E “far sentire all’ospite la generosità piena del donare”. La conferma dell’ essere francavillese lo ha manifestato in maniera egregia e soprattutto con il cuore il nostro carissimo Ernestino Calluori nell’ultimo articolo, Francavilla: il mio paese natio.” Il cordone ombelicale che ci unisce dalla nascita non si è mai spezzato” …”ritorno al paese natio, non come straniero in patria, ma con la consapevolezza di colui che vi è rimasto radicato, con la mente e con il cuore”. Recentemente anche il professore Aldo Scutari dagli USA in una intervista rilasciata al nostro giornale si esprimeva così: “Una incredibile soddisfazione che si mescolava con le emozioni e l’orgoglio a conferma degli sforzi e immensi sacrifici sostenuti. Non ultimo aver lasciato il proprio paese”. Questi sentimenti sono nell’animo di tutti i nostri concittadini che vivono fuori e si manifestano in vari modi, sia a livello socio-istituzionale (vedi gemellaggio Francavilla – Bioglio, Associazione dei Francavillesi in Argentina, Associazione Lucani nel Mondo, Circoli Lucani nelle varie città italiane) che a livello personale e familiare (ritorno al paese in occasione delle ferie estive per far visita ai propri congiunti o ad amici ai quali si è particolarmente legati o per certi eventi). Qui voglio aggiungere che anche noi abitanti del paese proviamo delle sensazioni di genuina e profonda gioia e un particolare arricchimento dell’animo quando ritornano i nostri parenti o incontriamo gli amici più cari.matrimonio-antico

Chi vive altrove conserva sempre un indissolubile legame con il paese natio, la sua mentalità, il suo dialetto, e si sente erede della civiltà e della moralità contadina della sua regione, “La Lucania”, che si può far derivare dalla morale di Orazio e dai principi di vita rappresentati nel personaggio di Ofello. E’ “l’ ethos lucano”. Noto con grande amarezza ogni anno che passa che, dato il grave depauperamento economico e abitativo della nostra Regione, questi legami si allentano sempre di più: si preferiscono le spiagge affollate al “Paese mio che stai sulla collina”. Per invertire questa tendenza, si potrebbero recuperare le numerose abitazioni abbandonate del centro storico e assegnarle ai nostri concittadini che vogliono ritornare in paese, magari proprio nel rione dove sono nati.

Antonio Fortunato

dal libro di Antonio De Minco “Francavilla sul Sinni”

La casa – i parenti – gli amici

stori07La casa, il luogo materiale e spirituale Dove l’uomo mette le sue personali radici, si identifica con quel manufatto di materiali edili, che gode di una esposizione nel centro urbano e contiene una suddivisione interna rapportata alle esigenze della famiglia, secondo la scienza urbanistica. Questo nell’accezione esteriore del termine: nella sua visibilità e praticabilità. Ma nell’accezione più vasta, ampia e globale, la casa è il centro base della struttura sociale. Quel meraviglioso luogo, dove ogni uomo intesse e sviluppa i suoi programmi esistenziali. Il vero tempio della ricomposizione dell’energia e della continuazione della specie umana. La palestra vera della vita. Dove i rudimenti pratici di tutta la realtà trovano esemplificazione sviluppo fattuale e di programmazione. La casa come punto di riferimento dello spazio infinito, costituisce quell’ancora di salvezza, di sicurezza rispetto ai problemi complessi terreni. Luogo dove si sogna e si agisce; dove si pensa e si formulano credenze. La casa, che permeando i sensi e l’intelletto, raccoglie e nutre le aspirazioni e le possibili realizzazioni di futuri eventi. In cui le strategie dell’esistenza trovano la pista di lancio e la pervicace forza della realizzazione. Il luogo dove l’uomo regna sovrano; dove le leggi positive e le convenzioni sociali possono essere a piacimento violate e ricreate. Dove il sogno e l’utopia ricevono i primi vagiti e gli impegni continui per tramutarli in realtà. La casa muta, ascolta i palpiti e le ambascie del cuore dell’uomo, che con slancio e generosità progetta i suoi piani per aprirsi un varco nelle frontiere perigliose della vita da e dove suggerisce ed elargisce consigli e suggerimenti, affinché il Suo buon nome aleggi sui piani alti di lealtà, nobiltà e fedeltà. Se si è costretti, per varie ragioni, a lasciare temporaneamente o per lungo tempo la propria casa, in fondo all’animo cova sempre la speranza del ritorno ed una forza misteriosa ti spinge sempre in quella direzione. Il francavillese raggruppava tutte queste caratteristiche che, uomo, in mezzo agli uomini operava, agiva ma pur sempre con il pensiero fisso verso quella meta: la propria casa. L’invito a persone estranee o parenti a prendere un caffè, a bere un bicchiere di vino accompagnato da buon salame e pane, significava accogliere quei propri simili tra le mura della propria casa e far sentire all’ospite la generosità piena del donare. La famiglia costituita dai giovani, su basi di reciproci sentimenti di affetto, spesso però, nascondeva aspetti di altra natura: si badava anche alla sostanza, alla dote, al lascito… . L’influenza dei genitori e dei parenti era determinante. Era prassi e tradizione locali che persone estranee ai due sposi ordivano e creavano tutte le premesse per far sposare due giovani. Vecchi retaggi di tempi passati, quando il matrimonio era deciso proprio su basi economiche e di convenienza dai genitori. Il codice del 1866 stabiliva che gli uomini minori di 25 anni e le donne minori di 21 dovevano necessariamente ottenere, dai genitori, il loro permesso o consenso, e, se tra i due genitori, esisteva discordanza, prevaleva la volontà del padre (il mondo è sempre stato governato dai maschi). Nella cultura francavillese era prevalente la moralità delle famiglie. Non erano tollerate nomee di natura immorali e di condotte contrarie al rispetto delle leggi. L’unione monogamica, non tanto ispirata dal sacramento religioso era una tradizione manifestata e visceralmente sentita quale espressione di onestà e profonda moralità. I giovani sposi venivano spesso a trovarsi in un particolare situazione di “non libertà”, in quanto l’influenza dei parenti, anche se non manifestatamente esplicitata, si faceva sentire in mille modi. Lentamente, poi, sopravanzava l’autorità del maschio, del capo famiglia, dal quale discendevano tutte le decisioni di ogni ordine e grado. In quella piccola cellula, così costituita, la forza di coesione riceveva il massimo impulso. Tutti protendevano le loro energie per un futuro migliore, soprattutto per la prole. Gli intrecci relazionali con altri compaesani risentivano di un forte senso dell’amicizia, che si manifestava con lo scambio di aiuti e collaborazione. Anche con quelle manifestazioni di rapporti profondamente umani, però collateralmente veniva accentuata l’ostentazione di una immaginaria posizione classista. Bastava frequentare una scuola superiore, che subito scattava l’orgoglio, non solo verso i compagni dell’elementare e dei giuochi, ma anche verso i parenti stessi “io sono più di te o, almeno così credo”. Ottimi si potrebbero definire i rapporti col vicinato. Tra questi avveniva lo scambio di favori, che rendevano meno pesante la condizione esistenziale. In caso di malattia, questo a mò di esempio, quando il medico prescriveva una tazza di latte, si ricorreva a chi possedeva una capra e, questa persona, donava in modo del tutto disinteressato e generosamente il latte. Significativo, con tutti i suoi aspetti di amicizia e solidarietà, era il cosiddetto “consuolo”. Nella circostanza della morte di un congiunto e poiché il dolore raggiungeva l’acme del sentimento, quella era la cultura del dolore, i famigliari trascuravano la alimentazione. Ecco sovvenire i parenti o amici, i quali provvedevano alla preparazione del pasto, che recapitavano ed offrivano in segno di profonda solidarietà, di amicizia e di sentita fratellanza. Quelle erano forme autentiche di espressione dell’amicizia e di forza coesiva del gruppo sociale. La parentela infine, godeva di un privilegio di rapporti e di consanguineità da far sentire all’individuo il senso profondo di attaccamento alle persone ed alle cose. Nei limiti del possibile, i bisogni si mutuavano con atti di liberalità e spontaneità, tale da farli sentire tutti discendenti del capostipite in comune.

Antonio De Minco

3 riguardo a “La casa – i parenti – gli amici

  1. Nel proporre il racconto di Antonio De Minco su “La casa- i parenti – gli amici “, Antonio Fortunato, si avvale di un suo incipit molto efficace con il quale riesce a testimoniare il legame che unisce “Chi vive altrove” alle radici antiche del proprio paese natìo . Prova ne sia ciò che ho riportato nel mio cuore, facendo ritorno al mio paese Francavilla sul Sinni, dopo, svariati anni di assenza. A tal riguardo, mi piace aprire una parentesi per essermi imbattuto in “Francavilla in Sinni” e non già “sul Sinni”.
    L’aver modificato le due proposizioni “sul” e “in” è motivo di grande confusione per chi vive fuori, trovandosi a possedere documentazioni che riportano “sul” e crea problemi, dinanzi
    a “in”.
    Volendo scomodare l’analisi grammaticale : “sul” ha una funzione di stato in luogo; “in” esprime un moto a luogo. Mi auguro che, questa mia breve opinione possa essere presa in considerazione, perché sono nato a FRANCAVILLA sul SINNI e non “in SINNI”,

    1. Ernestino Calluori riesce a cogliere grazie alla sua grande capacità di osservazione e senso critico tutti gli aspetti della nostra comunità, anche quelle cose che non vanno (vedi marciapiedi).
      Sicuramente ha letto il mio precedente articolo “Se vogliamo, possiamo uscire dall’incertezza denominativa: Francavilla in Sinni a Francavilla sul Sinni” e si è reso conto della confusione in cui si e’ imbattuto.
      Invito tutti i nostri lettori a rivedere quell’articolo e a pronunciarsi in merito.

  2. Anche se ricerche storiche hanno fatto decidere per “in Sinni” mi sembra, oltre che un madornale errore (si sta seduti sulla sedia e non nella sedia), un’ inutile mutazione dopo che per generazioni s’era sempre scritto Francavilla sul Sinni, che tra l’altro suona meglio pure metricamente quale perfetto elegante settenario.

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