Vincenzo Di Stabile

Meditando ho realizzato che la vita ha molte similitudini con il gioco degli scacchi…
Avevo circa 4 anni, quando un giorno stando nel mio paesino natale Francavilla in Sinni (Potenza), (a 200 km a sud di Napoli) non so come, mio padre uccise un maiale, dico che non so come perché con mia grossa meraviglia a quell’epoca chi uccideva un maiale all’anno era ritenuto ricco…!
Questo non era il nostro caso, poiché quella fu l’unica occasione in cui la mia famiglia poté vantare di aver ucciso il maiale…
Pensandoci bene adesso, è molto probabile che quella occasione fu determinata dal fatto che mio padre di lì a poco sarebbe partito per Buenos Aires e siccome io avevo solo quattro anni, volle lasciare alla sua famiglia viveri per la sopravvivenza, fin quando non avrebbe potuto inviarci denaro.
Non potrò mai dimenticare la scena dell’uccisione di quel maiale, né le sue grida, e tanto meno quanto avvenne di speciale intorno a quell’episodio…
Vicino casa nostra viveva mia zia “Annuzza” e suo marito Giuseppe (conosciuto come Peppino) il quale, mentre mio padre macellava, si avvicinò a me e mi disse: «tuo padre non sa niente su come si uccidono i maiali …!».
Ricordo molto chiaramente che io gli risposi <<Per caso il maiale è tuo?>>
Per la mia famiglia tutto si fermò a quei giorni…
Dopo 3 anni emigrammo in Argentina ed io avevo all’incirca 7 anni …
Nonostante la mia giovane età, la storia del maiale rimase fissa nella mia mente, arrivai persino a pensare che fosse stato un sogno…
Quando, dopo circa 30 anni o più, ritornai al mio paesino natale con mio figlio Emiliano e mia moglie Cristina, andammo a visitare la mia vecchia casa (che è poco più che una camera da letto) e passammo anche da casa degli zii (ai quali, alla nostra partenza, i miei genitori avevano lasciato la nostra casa).
Mio zio Peppino nel rivedermi, mi domandò: “Ti ricordi quello che mi dicesti il giorno che il tuo papà uccise il maiale?”. Risposi: “Mi ricordo, come se fosse oggi!”, e tornai a ripetergli le stesse cose che mi aveva detto quel giorno di oltre 30 anni fa… Lo zio ribadì << infatti, così era! >>
Da quando cominciai a giocare a scacchi scoprii similitudini tra questo gioco e la storia del maiale, infatti ne ho sempre parlato al mio professore di scacchi: «ci sono molti modi di uccidere un maiale, bisogna trovare la mossa migliore, però per varie ragioni non la trovo mai …».

Ad un livello professionistico, a volte neppure i grandi campioni riescono a trovare la mossa migliore e prevedere le possibili conseguenze. Per questo è bello giocare a scacchi… è la cosa che più si avvicina al senso comune perché devi calcolare ad ogni mossa le possibili conseguenze.
Dobbiamo lottare affinché gli scacchi si trasformino in una materia obbligatoria fin dalle scuole elementari. Questo gioco permette un sano sviluppo delle nostre capacità intellettive e critiche e soprattutto ci impedisce di lasciare in mano a corrotti e traditori il governo di paesi come l’Argentina.
******************
Questa prima parte di un racconto che ci giunge dall’Argentina, è scritta da Vincenzo Di Stabile, proponiamo a seguire la versione originale in lingua spagnola, tradotta da Carlo Carmelo Di Giacomo in lingua italiana.
******************
El ajedrez , el sentido común y el chancho
Meditando me di cuenta que mi vida siempre tuvo algo de ajedrez…
Tenía unos 4 años aproximadamente, cuando un dia estando en mi pueblo natal Francavilla (a 200 km al sur de Napoles), no sé cómo, pero mi padre mató un chancho, digo no sé cómo, porque la persona que en esa época faenaba un chancho por año, era rico…!
Ese no era el caso nuestro, ya que esa fue la única vez que recuerdo que hayamos faenado un chancho…

Pensándolo bien ahora, es muy probable que esa haya sido la despedida de mi padre que viajaba a Buenos Aires; y como yo tenía 4 años, quiso dejarnos algunos víveres, hasta que pudiera mandarnos dinero.
Nunca voy a olvidar ese chancho, ni sus gritos, ni tampoco algo especial en torno a este episodio…
A la vuelta de nuestra casa, vivia mi tia Anuzza y su esposo Giuseppe (conocido como Pepino). Mientras mi padre faenaba, el tio se acercó a mi y me dijo: « tu papá no sabe nada de matar chanchos…! ».
Recuerdo muy claramente que yo le dije « Acaso el chancho es tuyo?”
Las cosas quedaron asi… Después de 3 años inmigramos a Argentina, y yo ya tenia por ese entonces unos 7 años…
No obstante mi corta edad, la historia del chancho siempre quedó dando vueltas en mi cabeza, incluso hasta llegué a pensar que era un sueño…
Cuando volví de visita a mi pueblo natal después de 30 años o más, con mi hijo Emiliano y mi esposa Cristina, fuimos a visitar mi casa natal (que no es más que un solo dormitorio) y tuvimos que pasar por la casa de mis tíos (a quienes mis padres le habian dejado nuestra casa al partir).
Mi tio Pepino entonces me preguntó: “Te acordás lo que me dijiste el dia que tu papá mataba el chancho? ». Le dije : «me acuerdo, como si fuera hoy! », y le volvi a repetir lo mismo que le había dicho aquel dia… el tio me respondió « así fue! »
Desde que empecé a jugar al ajedrez, descubri similitudes con la historia del chancho, y siempre le he dicho al profesor : « Hay muchas formas de matar un chancho, hay que buscar la mejor jugada pero por varias razones, nunca la encuentro… ».

En un nivel avanzado, ni siquiera los grandes campeones encuentran a veces la mejor jugada y las posibles consecuencias. Por eso es lindo jugar al ajedrez… es lo mas cercano a la explicación del sentido común; porque uno debe calcular su jugada y las posibles consecuencias.
Debemos luchar para que el ajedrez se transforme en una materia obligatoria desde la escuela primaria. Eso nos permitirá desarrollar la inteligencia y no ser manejados por los corruptos y vendepatrias de Argentina.
Un abrazo.
Vicente