don Camillo Perrone "Parroco emerito di S. Severino L."
La nostra società si trova immersa nelle spire di una cieca violenza con aggressioni e feroci massacri. E’ superfluo dire che imperversano la prepotenza della criminalità organizzata, l’egoismo edonista, il crollo dei valori familiari, lo svilimento della dignità personale.
Nella stessa società, che osa chiamarsi cristiana, s’annida l’odio, esplodono guerre, trionfano oppressioni, persecuzioni, sfruttamenti. La stessa società cristiana è divisa in straricchi e poveri, in chi nuota nell’abbondanza e chi non mangia!
Si semina violenza senza che si reagisca. Abbiamo visto in questi mesi crescere, con la scusa della sicurezza, pensieri e atti d’intolleranza verso coloro che sono diversi da noi per la pelle, storia, cultura e religione. In questo periodo che precede le elezioni politiche, abbondano gli scontri dei partiti politici, quindi il dibattito politico s’è infarcito di parolacce, di scontri duri e continui dove la demonizzazione dell’avversario è divenuta un fatto quotidiano. A questo punto è bello riferire quello che affermò il grande Martin Luther King:
“Ben lungi dall’essere la pia raccomandazione di un sognatore utopista, il comandamento di amare e perdonare i propri nemici è un’assoluta necessità per la nostra sopravvivenza.”
L’amore, e solo l’amore – se vero, se autentico, se divino – può spezzare la catena dell’odio e della violenza, rigenerare il bene là dove ha dilagato o dilaga il male.
E diciamo che la non violenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti. I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati.
Non possiamo non riferire che alcuni anni or sono come L’Osservatore romano pubblicò con la dovuta evidenza, una lettera che la vedova del giudice Borsellino indirizzò al Papa.
Rivolgendosi ai “pastori” delle Chiese siciliane disse: “Siate guide e testimoni scomodi, disposti anche a rischiare, senza cedere a nessun tipo di collusione”. E’ un richiamo esplicito alla rettitudine, alla fermezza, alla veridicità nelle parole ma soprattutto nelle opere. Niente compromessi col male, nessuna connivenza con i delinquenti, anche se si fregiano del nome cristiano.
Tra i grandi testimoni e profeti è da annoverare in primis Cristo Gesù, il quale ha stigmatizzato l’ingiustizia, l’ipocrisia, la falsità non scendendo a compromessi, diventando il difensore degli umili, bollando a fuoco la sopraffazione del potere.
E’ bello ricordare Don Lorenzo Milani che ha operato tra i poveri e per i poveri in un ambiente difficile, di fronte al quale stava un mondo complesso e in trasformazione. E’ stato “un prete nuovo” nell’ambito della scuola, della formazione, della coscienza, della pastorale. Nella sostanza, i tempi gli hanno dato ragione. Ricordiamo poi Don Primo Mazzolari, l’altro ribelle obbedientissimo, cui era accaduto un vita di non essere sempre compreso, anche lui indicato dal Pontefice come modello di sacerdote “non clericale”. C’è un’idea di Chiesa, in questo doppio abbraccio, che rispecchia, per dirla con Mazzolari, “l’incarnazione di Cristo nella storia”, una Chiesa che vive sulla pelle le fatiche quotidiane delle sue pecorelle più o meno smarrite. Nel 1974, questo prete “scomodo” pronunciò un discorso sulla pubblica piazza, rivolgendosi anzitutto ai cristiani impauriti dagli schiamazzi degli illuminati laicisti. Nel ricordare il 60°anniversario dell’assassinio di Don Minzoni, Papa Giovanni Paolo II, alcuni anni or sono, citò quanto Don Minzoni prima di morire aveva scritto: “La religione non ammette il servilismo, ma il martirio”.
Nel nostro mondo lucano è da ricordare e sempre riverire il Beato Domenico Lentini che fu un apostolo della carità sociale perché non si interessava solo dei poveri, ma seguiva i giovani attraverso la catechesi e la promozione della cultura. Inoltre era un riconciliatore e nei momenti difficili dei primi decenni dell’ottocento seppe smorzare molti conflitti sociali.
In un’occasione particolare convinse i suoi concittadini ad abbattere il patibolo che avevano già innalzato per fare giustizia sommaria e a piantare al suo posto una croce. “Quella croce che era la compagna della sua vita di penitente e che insegnava ad amare non come strumento di paura e di morte, ma come mezzo per la risurrezione”.
A proposito nella città di Lauria che ha dato i natali al Beato Lentini – ma è tutta la Diocesi di Tursi-Lagonegro a operare e a mobiltarsi – sono in corso un solenne novenario, varie iniziative ecllesiali, che culmineranno con i solenni festeggiamenti lentiniani il prossimo 25 febbraio.
Tutti i parroci della vasta diocesi suddetta, tutti i vescovi lucani con a capo il Cardinale Amato terranno insieme una solenne celebrazione eucaristica per quel giorno.
La direzione sulla quale è incamminata la Chiesa, sacramento di salvezza, ci viene indicata da queste parole di Cristo: “In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto”. Ci viene indicata la condizione dell’uomo che vuole con serietà essere se stesso.
Il valore della sua esistenza è in rapporto alla capacità di soffrire. Per questo la Chiesa che è di Cristo, morto in croce, è icona di martirio. Sono tante le difficoltà e le amarezze che la quotidianità della vita ci fa incontrare, ma è per loro che si arriva al momento illuminante, quando il germoglio, cresciuto dal chicco sepolto nel terreno diventa spiga ricolma.
Ad ogni morte è legata una risurrezione. Nulla è sciupato: non una lacrima, non una goccia di sudore; tutto è raccolto nell’immenso calice della vita nuova. Questa è la storia della Chiesa. E’ l’esperienza vissuta dagli apostoli, dai martiri, dai testimoni della fede. La loro grandezza è nata dal travaglio, dalle sofferenze nelle quali hanno capito che il Signore è veramente tutto. Cristo Gesù ci assiste nelle prove dure della vita, ma occorre dargli sempre testimonianza forte ed eroica. In tempi effervescenti e di sollecitazioni al male, no ai ricatti, alle intimidazioni; no al razzismo, alle agromafie, al caporalato; no a estremismi, a populismi, a ideologismi e peggio allo stragismo eversivo e liberticida.
Occorre opporsi con petti di bronzo alla marea montante del malcostume e della illegalità come tuona continuamente Bergoglio, riformatore della Chiesa “in capite et in membris”.
E mentre ci sono minacce nella nostra regione più o meno latenti all’unità e alla fedeltà familiare, casi di droga e alcolismo, è presente in essa anche il terribile fenomeno dell’usura e un laicismo strisciante.
Le nostre Chiese in Basilicata allora debbono efficacemente impegnarsi in quella nuova evangelizzazione a cui ci sollecita il Santo Padre.
Se nella coscienza collettiva non sono presenti i motivi della comunione e della solidarietà, se si acuiscono egoismi e sopraffazioni, è perché manca l’animazione evangelica.
“Nuova evangelizzazione significa riproporre, in maniera credibile la novità del progetto di Gesù Cristo per l’uomo”. In tale progetto c’è un valore fondamentale che deve diventare anche ethos civile, il valore dell’universale fraternità umana.
Occorre che le nostre comunità coltivino costanti rapporti intersoggettivi di comunione ecclesiale e di solidarietà civile, impegnandosi a inserire il fermento evangelico nelle strutture e nelle istituzioni.
Ci vuole una nuova immagine di parrocchia. “La parrocchia non può ridursi al solo culto, e tanto meno all’adempimento burocratico della varie pratiche”.
Forse dobbiamo riconoscere una nostra pastorale arroccata nel “religioso”, e non sempre rapportata al sociale. La stessa educazione pastorale spesso prescinde dal contesto sociale e poco si avverte la necessità di rapporti con la società e con le sue istituzioni.
Uno stato sociale che non può essere assistenziale ma orientato alla cultura della solidarietà, deve coniugare diritti e doveri in vista del bene comune, cioè il bene di tutti e di ciascuno, la difesa del povero e il rispetto di ogni cittadino, le prestazioni ordinarie e la considerazione delle emergenze-urgenze, la priorità dei valori primari, come la vita e la salute, ma soprattutto il lavoro.
I cristiani oggi sono chiamati, come nei primi secoli, ad essere santi, testimoni conformati a Cristo Signore, adeguando il proprio stile di vita e servizio ecclesiale e sociale allo stile di Gesù, il Maestro, sempre detestando quel diffuso e deplorevole sdoppiamento di coscienza, per cui si va contro le norme chiare della giustizia e della carità. Anche la partecipazione al voto il 4 marzo 2018 è un dovere giuridico, nel senso che è previsto e tutelato dalla legge; ma è anche un debito cristiano.
Nel giorno in cui il popolo di Dio che è in Basilicata rinnova l’esultanza per la beatificazione di un suo Sacerdote diocesano, Don Domenico Lentini, modello di santità, coltivata nel servizio pastorale, occorre riprendere con intensità le linee di un discorso educativo, che possa farci innamorare ancora di più del Vangelo di Carità ed aiutarci a diffonderlo, con una forte mediazione culturale, nella nostra società di Basilicata, per rinnovarla dal di dentro, con le parole e la testimonianza.
Il Beato Domenico Lentini ci sovviene con l’esempio della sua ricchezza di spiritualità e della sua ricchezza di apertura alla società, nel nome della carità pastorale.