No, non siamo un’isola

Letture, dibattiti, film, riflessioni. E polemiche. Mentre la tv emette bollettini sulla emergenza sanitaria. E’ tutto un tempo sospeso che esala dolore e rimpianti, che ci fa vivere soli con noi stessi una fase della vita che mai avremmo immaginato.

Armando Lostaglio

John Donne (poeta del ‘600 inglese) scriveva Nessun uomo è un’isola… Eppure oggi avvertiamo maggiormente questa dimensione, inedita quanto irrazionale. Isole di isolati, confinati sotto casa o cento metri più in là; sembra che galleggiamo in una geografia remota benché assolta nei sogni infantili che pure fan bene all’anima. Ma ci hanno avvertito che questa nuova dimensione è rischiosa, per noi e per gli altri, specie per quelli che ci attorniano. I riferimenti familiari, gli amici, i contatti, quelli piacevoli e quelli solo interessati, tutto un mondo cui si è dovuto d’un tratto rinunciare, affetti compresi. E in parte riguarderà anche l’immediato divenire, con le prossime settimane. Eppure, non ci si abitua facilmente, sebbene questa isola rimanga una opportunità (forzata) per ricrearsi quel mondo interiore. Si è passati da una vita esteriore ad una vita più intima, magari con la riscoperta della casa, delle cose da fare che venivano spesso (troppo spesso) rimandate. Anche un ulteriore rovescio è la convivenza che può rivelarsi ben più difficile, prima diluita dal tempo trascorso “fuori”. E dunque, dalla minaccia “esterna” del contatto e contagio (oggi più che mai) si passa alla difesa “interna”, quella psicologica, dei rapporti a due a tre a quattro; le mura di casa: un fortino che può essere inespugnabile, ma che la fragilità potrebbe rendere vulnerabile, instabile.

“La casa” celebrata nei versi di Cesare Pavese e nella canzone di De Gregori. E si passa dallo shock del momento ad una forma di “r-esistenza”. Proprio una sopportazione maggiore occorre a persone che dipendono da altre, portatori di disabilità, terza età, svantaggiati. La generazione che proviene dai dolori della Guerra, dalla Resistenza, dall’idillio di una nazione da ricostruire: beh! loro – precari della vita – non ce l’hanno fatta, in questo indistinguibile conflitto: li hanno – li abbiamo lasciati soli in trincea non prevedendo il nemico incombente. Per loro resta soltanto un’isola, quantunque rimarrà encomiabile il coraggio e la prodezza di chi si è battuto (e si batte) per la loro cura. Va a loro la riconoscenza di una intera comunità nazionale che ha saputo reagire con energia e temperanza a questa esclusiva sfida che la Natura ci ha scaraventato addosso. Una comunità che dimostra di valere più di quella sparuta pattuglia che da decenni l’ha governata.

John Donne

Restiamo e “r-esistiamo” (ancora per non molto, si spera) “nel tempo sospeso della casa, limitati dai metri quadrati, con le immagini consunte che vediamo alla finestra; le strade ancora vuote, e i fiori che spuntano. Torneranno i prati (da un film di Ermanno Olmi). I fiori sono spuntati in questa ansiosa primavera, a loro e a nostra insaputa. Abbiamo l’obbligo di fare tesoro di tutti questi pensieri perché “ogni singola mente dell’altro è una parte della nostra…” Lo scrive Vittorio Lingiardi, psicanalista. E aggiunge: “Se la prima stazione del nostro isolamento è stata abitata dal sospetto e dall’allarme, la seconda può diventare un laboratorio di umanità.”

https://www.youtube.com/watch?v=Ta5bbUMU_8g

(film APRIL di Otar Iosseliani, 1962)

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