Mattia Arleo

L’emergenza epidemiologica causata dalla paurosa e repentina diffusione del nuovo Coronavirus Covid-19 rappresenta l’ennesima occasione per meditare e per porci interrogativi sul nostro modo di relazionarci con le realtà del creato e, soprattutto, sulla nostra capacità di instaurare relazioni sane.
In verità, il genere umano ha avuto tante occasioni per riflettere sullo stato dell’arte delle sue relazioni: la terribile piaga della fame nel mondo, le guerre, i tanti disastri naturali.
Forse, la diffusione del Covid-19 rappresenta l’occasione più forte, perché ci tocca tutti da vicino e a tutti sottrae qualcosa, anche la speranza di vedere giorni migliori.
Al tempo stesso, l’attuale emergenza epidemiologica unisce tutta l’umanità in una lotta contro un nemico invisibile. Tutti i paesi del pianeta sono coinvolti. Soprattutto i paesi ricchi, quelli che hanno abbracciato un capitalismo spietato, poco attento agli effetti negativi che certe politiche avrebbero generato nel lungo termine. Eccoci, allora, di fronte all’ennesima minaccia per il nostro genere. Una minaccia terribile.
Quale può essere il punto di partenza della rinascita? In primo luogo, è necessario che l’uomo si renda conto che è lui l’artefice del proprio stato di salute e di quello della casa comune in cui è chiamato a vivere ed operare; in secondo luogo, non si può prescindere dalla consapevolezza che la crisi ecologica della Terra è la crisi della nostra civiltà e del principale mito del nostro tempo, ossia il progresso.
Abbiamo accolto tutti con grande interesse la proposta lanciata da Papa Francesco di un approfondimento di una delle espressioni più coraggiose del magistero della Chiesa, la sua Enciclica Laudato si’, pubblicata dal Santo Padre nel 2015. Per la prima volta, nella storia della Chiesa, l’alto magistero pontificio si pronuncia su una questione del genere.
L’indicazione è stata recepita dal nostro Vescovo S. Ecc. Mons. Vincenzo Orofino che, coadiuvato dal Consiglio Pastorale Diocesano e dalla Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali (CDAL), ha proposto un cammino che coinvolgesse i Consigli Pastorali Parrocchiali per uno studio del documento pontificio. A livello diocesano, poi, sono stati organizzati quattro incontri – con il coinvolgimento di esperti – sulla teologia del creato, sulla spiritualità della Laudato si’ e del “modello” di Chiesa che ne emerge, su esempi di realizzazione concreta (come la Comunità di Sant’Egidio), sulla economia come sviluppo sostenibile (connessioni salute e lavoro). Domenica 15 novembre, a partire dalle ore 17.30, si è tenuto, in modalità telematica, il primo di questi incontri – dedicato alla teologia del creato – con l’intervento del Prof. don Enzo Appella, presbitero della nostra Diocesi e docente presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli – sez. San Luigi e presso l’Istituto Teologico di Basilicata.

Da questo primo incontro e dalla relazione del Prof. Appella è emerso che l’attuale questione ecologica non è più rinviabile giacché, nel frattempo, essa s’è fatta gravissima crisi che minaccia concretamente il futuro dell’intero pianeta. Anche, e soprattutto, al cattolicesimo e alla sua etica sono rivolte delle aspettative per contribuire a risolvere la crisi ambientale.
Il fondamento di un diverso e più deciso approccio dei cattolici alla questione non può prescindere dalla teologia della creazione e, quindi, dal dato rivelato, il quale, in special modo nei primi due capitoli della Genesi, impartisce una maestosa lezione che va riportata urgentemente al centro dell’attenzione.
Ciò, in primo luogo perché un cattolico ha il dovere di conoscere la rivelazione divina “a tutto tondo” per esserne fedele interprete nell’esecuzione.
La Bibbia, come il Credo, si caratterizzano, nel loro contenuto, per lo sguardo gettato all’inizio e alla fine che abbraccia tutto quanto la fede biblica ha da dire su Dio e sulla sua relazione con il mondo. Tale sguardo stabilisce senza indecisione che il mondo è creazione di Dio e, come tale, non va profanato in alcun modo, quindi va salvaguardato.

In secondo luogo, perché un cattolico deve sapere anche che l’accusa tradizionalmente mossa al giudaismo e al cristianesimo di essere la causa prima della situazione dello sfruttamento sconsiderato dell’ambiente è contestabile. All’idea ebraica della creazione, fatta propria dal cristianesimo, si è attribuita la colpa di avere originato la convinzione di una auto-nomia: 1) del creato di fronte a Dio e 2) dell’uomo di fronte al creato.
Riportare all’attenzione la teologia della creazione vuol dire tornare a comprendere che la storia di Dio con il suo popolo Israele e con la Chiesa sta al servizio del compimento della sua creazione e che, pertanto, non si dà alcuna salvezza indipendentemente dalla creazione.
Da sempre, l’uomo, in tutte le epoche e culture, vive delle costanti nei confronti della natura: a) il tentativo di dominarla attraverso la tecnica e i riti; b) lo spavento che prova nei confronti di certi fenomeni sovrastanti; c) le riflessioni capaci di dare un senso olistico ad essa.
Nel corso del tempo, si sono affermati vari modelli “tipici”, da cui è possibile rilevare dei tratti che si riproducono nell’evoluzione umana, dando origine a diverse tendenze riscontrabili in ogni civiltà, compresa la nostra.
Così, si va dall’ambiente naturale dell’uomo primitivo, formato da pochi elementi coi quali era direttamente interconnesso, alla natura intesa come “realtà sacra” dagli antichi egizi; dalla natura come “Progetto relazionale” in cui si sentirono inseriti i filosofi greci, i quali non riuscirono tuttavia a determinarla, fino alla prevalenza della volontà e del senso del dominio da parte dell’uomo sulla natura del ‘600.
Diverso è l’approccio offerto dal modello biblico. L’ebreo, infatti, percepisce la natura come il giardino da coltivare, un giardino che non si identifica con Dio e nemmeno con le sue qualità, i suoi attributi; ma che è comunque piantato da Dio e non da altri: la natura non è Dio, ma è da Dio ed è di Dio.
Pur con tutta la sua particolarità, la fede dell’Israele biblico condivide molte concezioni dei popoli limitrofi. Di queste faceva parte l’idea di una creazione divina del mondo e dell’umanità. Queste interpretazioni religiose del mondo furono trasmesse soprattutto sotto forma di miti e di inni.
Quindi, il messaggio biblico del mondo come creazione di Dio affonda le sue radici molto lontano nella storia dell’umanità e appartiene ai valori religiosi più antichi e nello stesso tempo ai valori culturali dell’umanità.
Le prime pagine della Bibbia intrecciano due diverse narrazioni della creazione: a) Gen 1 è il testo più recente ed appartiene agli ambienti sacerdotali e, per la precisione, al contesto liturgico, essendo un inno; b) Gen 2 (-3), invece, è precedente ed è di derivazione sapienziale, una sorta di parabola.
Lo scopo di entrambi non è quello di fornire una cronistoria degli avvenimenti, ma di professare la fede in un Dio creatore e ordinatore, escludendo che il mondo visibile sia qualcosa di originariamente cattivo o caotico. Messi insieme, i due racconti aprono a una prospettiva antropologica ampia, potremmo dire quadridimensionale. L’essere umano, infatti, viene presentato come “immagine e somiglianza” del Creatore nelle quattro dimensioni fondamentali del suo essere “in relazione”, poi parzialmente corrotte dal peccato: 1) il rapporto con Dio (dimensione religiosa); 2) il rapporto con i propri simili (dimensione sociale); 3) il rapporto con se stessi (dimensione esistenziale); 4) il rapporto con il creato (dimensione ambientale).
Già le prime pagine della Bibbia, dunque, impostano una “ecologia integrale”, cioè fissano i capisaldi di quelle che si potrebbero chiamare le regole di un comportamento civico universale.
Le conseguenze della non osservanza di queste regole provocano catastrofi. La trasgressione del “limite” posto da Dio (quello che la Bibbia chiamerà poi costantemente “peccato”) rappresenta l’introduzione della disarmonia nelle quattro relazioni fondamentali dell’uomo.
L’ecologia biblica integrale vede le quattro dimensioni come un insieme armonico, senza mai separare il rapporto con la natura dal rapporto con Dio o con i propri simili o con se stesso.
Inoltre, nessuna delle quattro dimensioni antropologiche, se assolutizzata (è quello che purtroppo avviene dopo il peccato), garantisce all’uomo la realizzazione. Infatti, il rapporto con l’ambiente, preso a sé, rende l’uomo solo un elemento cosmico sfruttabile a piacere; il rapporto con gli altri, assolutizzato, rende l’uomo schiavo della struttura sociale; il rapporto con se stesso, considerato indipendentemente dagli altri tre, fa cadere l’uomo nello psicologismo e nell’individualismo; il rapporto con Dio, isolato dal resto, aliena l’uomo in uno spiritualismo verticale e disincarnato.
Ecco perché, ambientalismo, collettivismo, individualismo e spiritualismo sono caricature dell’antropologia, menomazioni fatali per l’essere umano. L’antidoto, proposto dalla Bibbia sin dalle prime pagine, è una ecologia integrale capace di integrare, appunto, tutte le dimensioni di una vita “buona”, anzi “molto buona”, voluta dal Creatore per la sua creatura prediletta perché impari a governare il mondo come lo governa Lui, senza strapotere, pascendolo con mitezza.

Un antropocentrismo sapienziale è la via di soluzione e di salvezza che deve dare forma ad un’etica del rispetto e orientare scelte politiche, tecniche, economiche e pedagogiche, indispensabili alla vita tout court. L’homo faber, tentato di sfruttare la natura come una semplice cava di materiali, e l’homo oeconomicus, tentato di attingervi come ad una cassa continua da prosciugare, devono integrarsi nell’homo sapiens, capace di sfruttare la propria intelligenza per far vivere e mantenere in buona salute la casa comune, sia per se stesso e per i propri simili (responsabilità intra-generazionale), sia per i successori e le generazioni future (responsabilità inter- generazionale).
L’uomo non è mai il padrone della cava e nemmeno il gestore della cassa, ma è sempre il custode della casa. L’alternativa all’homo sapiens sarà l’homo demens che, distruggendo la propria casa, finisce per distruggere se stesso.
La fraternità universale, allora, sarà quella bellezza che salverà il mondo.
(video del primo focus)