Marilena Lovoi
Correva l’anno 1946 e la storia della Repubblica Italiana prendeva vita, figlia del referendum istituzionale.
Settant’anni e qualche tornata referendaria dopo, ancora una volta gli italiani sono chiamati alle urne per avvalersi di questo grande strumento di democrazia diretta. Si tratta di un voto richiesto, per la prima volta, da nove regioni – capofila la Basilicata – il cui esito potrebbe inoltre influire sul modello di sviluppo energetico che il paese intende seguire.
Dal ‘74 ad oggi i cittadini sono stati interpellati per ben 66 referendum abrogativi, due costituzionali e uno consultivo. La storia dei referendum in Italia ha visto un progressivo scemare di entusiasmo e partecipazione frutto sia di precisi calcoli politici sia di un cambio di rotta culturale.
Qual è stato, invece, l’atteggiamento degli elettori della nostra regione negli anni?
Nel ’46, il referendum istituzionale ci colloca tra i monarchici, conformemente al risultato dell’intero Meridione. Ma l’allora Lucania – al di sopra della media del Mezzogiorno – si attesta regione “più repubblicana” del Sud (per oltre il 40%). Questo a dimostrazione – secondo alcune analisi – della controtendenza rilevata nelle aree rurali figlie delle lotte contadine, contrariamente a quelle urbane legate al clero.
Negli anni di gloria del quorum, si tiene il referendum abrogativo della legge Fortuna-Baslini (1974) sul divorzio, con una percentuale di votanti superiore all’87%. In un Meridione antidivorzista, ancora una volta, la Basilicata contraria il risultato nazionale con il 56,7% degli elettori a favore. Tra i quesiti della consultazione diretta del 1981, invece, riguardo all’abrogazione della legge sull’interruzione di gravidanza solo il 34,4% dei lucani si dimostra a favore, superando di poco la percentuale nazionale.
Gli anni Novanta – periodo “boom” del giudizio popolare – si aprono con due quesiti sulla caccia e uno su pesticidi. Il dato regionale segue quello nazionale e, per la prima volta, il quorum non si raggiunge. Si attesta al di sotto della percentuale nazionale (77%) il quorum lucano (66,4%) per gli otto quesiti referendari promossi dai Radicali nel ‘93.
Nel ‘95 i quesiti saranno dodici. Il quorum si raggiunge – come non accadrà due anni più tardi – ma meno del 40% degli aventi diritto si reca alle urne in Basilicata. Dopo il fallimento del referendum abrogativo sulla quota proporzionale nel ‘99 sarà la volta di quello costituzionale nel 2001. La riforma del Titolo V passa con il 64% dei Sì sul 34% di votanti. Ai seggi soltanto il 26,6% degli aventi diritto ma il quorum, questa volta, non conta. Nel 2006 il referendum Costituzionale d’iniziativa del centrodestra non è approvato. Votano più della metà degli aventi diritto ma gli elettori lucani non superano il 50%.
Nell’importante tornata del giugno 2011, il dato nazionale si conferma in Basilicata. I quattro quesiti (su acqua, energia nucleare e legittimo impedimento) raggiungono il quorum con trionfo del Sì (storico risultato del 97%). L’affluenza, sia nazionale sia regionale, supererà di poco il 54%.
Lo scenario in regione, ad oggi, è controverso: un consiglio promotore, un governatore che rifiuta l’astensionismo (ma non si schiera apertamente con il Sì), un Pd Basilicata divorziato dal Renzi del No e uno scandalo idrocarburi fresco di mesata. Come si comporteranno i lucani tra poche ore è difficile a dirsi, o forse no. Più difficile è, senza dubbio, prevedere l’atteggiamento degli elettori nazionali sempre più lontani dalla concezione “gaberiana” della libertà e offuscati da una carente informazione.
(dati: Archivio Storico delle Elezioni – Ministero dell’Interno)
fonte: http://arrotinomagazine.it/index.php/agora-info/1057-referendum-in-basilicata-la-storia
Libertà è partecipazione. Democrazia è partecipazione. E questo grido è ancora più vero se sentito e fatto proprio dalle giovani generazioni.