Antonio Amatucci
A seguito della manifestazione pubblica promossa ad aprile 2016 dal Comitato “La nostra voce” per la difesa, il rafforzamento e la riqualificazione dell’Ospedale “San Giovanni Battista” di Chiaromonte, abbiamo stigmatizzato positivamente l’iniziativa e sottolineato l’importanza dell’assunzione di consapevolezza dei territori di fronte alle disattenzioni ed alle penalizzazioni riservate dal programmatore regionale alle aree marginali della regione.
In quella stessa occasione abbiamo invocato una iniziativa della politica finalizzata a riequilibrare il gap economico e sociale, che le aree interne da sempre soffrono nei confronti di aree regionali più forti demograficamente, economicamente e politicamente, con il rafforzamento delle reti infrastrutturali, dei servizi e dei presidi socio-sanitari, primo fra tutti il mantenimento e la riqualificazione delle poche strutture sopravvissute ad un depotenziamento chirurgico dei territori, sempre più dipendenti dal potere centrale ed incapaci di autodeterminarsi per endemica debolezza e dipendenza indotta.
In quella occasione, peraltro, auspicammo che, insieme alla protesta, pur giustificabile per le storiche disattenzioni, venisse formulata una proposta praticabile per la riorganizzazione della sanità lucana, a garanzia di equità sociale e a salvaguardia di diritti costituzionali, primo fra tutti il diritto alla salute.
Abbiamo atteso un modico tempo per verificare se le sollecitazioni dei territori sortissero un minimo di attenzione, (determinando confronto e compartecipazione democratica alle scelte), da parte degli organi regionali deputati alla riorganizzazione sanitaria regionale, impegnati a definire una materia delicata, significativa quanto improcrastinabile, alla luce anche dei rilievi governativi al tentativo di procrastinare tempi e modalità di scelte organizzative.
Solo da qualche giorno abbiamo assunto conoscenza di un documento, propedeutico alla riorganizzazione della rete ospedaliera regionale recante tra l’altro “Analisi di contesto della rete ospedaliera regionale”, aggiornata all’ 8.8.2016 (data ripresa dal frontespizio del documento in nostro possesso).
Analizzando il documento, i preveggenti estensori, dopo aver riportato e certificato una serie di numeri riferiti alle attività in essere nei vari presidi ospedalieri, alcuni dei quali depotenziati significativamente nel corso degli ultimi anni, ed assumendoli quali parametri ineludibili per le scelte da operare, articolano una proposta di riorganizzazione della rete ospedaliera regionale, che, di fatto, centralizza in Basilicata anche la sanità, depauperando ulteriormente i territori ed i presidi esistenti, mantenuti in vita nei decorsi anni dalla ipotesi di distrettualizzazione, sancita dalla L.R n. 12/2008.
Tale ipotesi, nel riposizionare gli ospedali del S.S.R della Basilicata rispetto agli standars previsti dal D.M n. 70/2015, individua una unica Azienda Ospedaliera Regionale “San Carlo”, che ingloba oltre al San Carlo, (DEA di II livello), l’Ospedale Madonna delle Grazie di Matera ( DEA di I livello), gli Ospedali già sede di PSA di Policoro, Lagonegro, Villa d’Agri, Melfi ed il CROBB di Rionero.
In capo all’unica Azienda Sanitaria Regionale invece andrebbero i Presidi Territoriali di Chiaromonte, Venosa, Lauria, Maratea, Pescopagano, Tricarico, Stigliano, Tinchi,il Sistema Regionale di Emergenza Urgenza ( già 118), più ad oggi , stando al documento, i 5 distretti.
Come appare evidente dalla proposta brevemente riassunta, formulata sulla base di “numeri” ed al primato attribuito al calcolo economico, vengono mortificati i più elementari diritti sociali, perché, di fatto, in una regione orograficamente complessa, dalla scarsa infrastrutturazione e dalle enormi distanze temporali dei centri periferici dai centri hub e spoke, diventa problematico articolare una organizzazione sanitaria che tuteli la salute e risponda alla filosofia organizzativa del “modello per intensità di cura”, mutuata da qualche regione del nord, che oggi lamenta tale scelta organizzativa.
In sostanza tali scelte, oligarchiche e tecnocratiche, che sembrano più garantire il perpetuare di rendite di posizioni per pochi eletti, producono “un duplice effetto di esclusione- delle persone legittimate ad avere voce effettiva nella politica e delle domande sociali da considerare e privilegiare”, rinunciando a costruire un futuro “secondo principi e diritti nei quali ci si possa comunemente riconoscere”.
Se si considera che gli Ospedali, già sede di PSA, vengono di fatto trasformati in Ospedali di Base, secondo la connotazione e la organizzazione giuridica sancita dal D.M 70/2015 e, sostanzialmente, depauperati, magari progressivamente, di compiti e funzioni, si comprende quanto questo processo rischi di impoverire il tessuto sociale regionale ed i territori, che saranno privati in prospettiva futura anche degli attuali riferimenti sanitari.
Il tutto tra l’indifferenza della politica che inerme subisce scelte oligarchiche, spesso irragionevoli, la cui conseguenza nel tempo si concretizzerà in sottrazione di servizi ed in elefantiache organizzazioni burocratiche, che privilegeranno i ceti più abbienti economicamente, che avranno più possibilità di accedere a strutture private o pubbliche così articolate.
Alla luce di tale ipotesi riorganizzativa il ruolo dei “presidi territoriali” non potrà che essere marginale ed insignificante, sia pure allo stato non definito, relegati ad essere P.P.I nella riorganizzazione dell’Emergenza–Urgenza con qualche autoambulanza medicalizzata ed il mantenimento di qualche servizio residuale.
In questa fase, tuttavia, il D.M n. 70/2015 “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”, sovviene le aree marginali, le cosiddette zone particolarmente disagiate, di cui al punto 9.9.2, ed individua per tali aree, obiettivamente riconosciute per orografia del territorio, condizioni metereologiche ostili, con territori montani o pre montati, distanti più di 60 minuti dai centri hub (Potenza) e spoke ( Matera), l’ipotesi di Presidio Ospedaliero in zona particolarmente disagiata, che ha precisa connotazione giuridica ed organizzativa , in deroga alle previsioni sancite dallo stesso decreto.
Tali strutture,oltre all’attività di pronto soccorso (definita contestualmente anche nella “Strategia delle aree interne” da parte della Direzione Generale della Programmazione Sanitaria- punto 1.3,), devono essere dotate di un reparto di 20 posti letto di Medicina Generale, una Chirurgia elettiva che operi in Day Surgery o WeeK Surgery, il Pronto Soccorso presidiato da personale dedicato all’Emergenza –Urgenza, con indagini laboratoristiche, la previsione di un’emoteca, indagini radiologiche.
E’ questa la situazione oggettiva dell’Ospedale San Giovanni Battista di Chiaromonte, che serve una popolazione residente di circa 26.000 ab., unico presidio del territorio del Parco Nazionale del Pollino, che incrementa notevolmente l’utenza sia d’inverno che d’estate, in presenza dei macroattratori zonali di San Costantino Albanese e Senise.
Non può sottacersi la orografia del territorio, la scarsa infrastrutturazione viaria, la sua insistenza in ambiente montano o premontano, (anche i comuni siti ad altezza collinare hanno la maggior parte del territorio in zona montana), la connotazione sparsa degli insediamenti demografici, la distanza media dalla sede dell’Ospedale (30-40 minuti,), la distanza di 1ora e 40 minuti dalla sede del DEA di I livello (Matera) e di circa 1ora e 50 minuti dalla sede del DEA di II livello ( Potenza).
E’ irragionevole che la Direzione Generale faccia riferimento solo a “numeri”, che pure non sono trascurabili per un presidio scientificamente depotenziato (circa 4000 prestazioni di pronto soccorso annue e circa 1500 interventi nei soli servizi oggi esistenti (Oculistica, Chirurgia ambulatoriale, Odontoiatria Specialistica)
Non è razionale che nel 2016 questo territorio ed i suoi cittadini, siano privati dei servizi più elementari.
La organizzazione del San Giovanni Battista di Chiaromonte in Presidio Ospedaliero di zona particolarmente disagiata potrebbe avvalersi per lo più di personale medico ed infermieristico già in organico, ed utilizzando a rotazione personale in servizio nell’Ospedale di Base di Lagonegro o del DEA di I livello per particolare interventi elettivi.
Mentre non basta mutare un codice di un servizio per giustificarne la sussistenza, il mantenimento dei servizi di Nefrologia -Dialisi e di Oculistica, oggi qualificati e ben operanti, potrebbero definire un assetto organizzativo, che in rete con strutture ambulatoriali comunali o sovracomunali ridarebbe dignità ad un territorio disatteso nelle sue aspirazioni e nei suoi bisogni.
Non è irrilevante, infatti, l’importanza della prevenzione nella organizzazione sanitaria, considerata l’incidenza di patologie nefrologiche ed oculistiche nella popolazione, (circa il 10% della popolazione ne è inconsapevolmente interessata).
Tanto anche alla luce delle obiettive difficoltà prima paventate, ormai sempre più evidenti, della realizzazione dell’Ospedale Unico di Lagonegro, sempre più utopico e comunque relegato ad Ospedale di Base dall’ipotesi formulata, di cui è discussione.
Ecco perchè il territorio invoca l’ assunzione di responsabilità della politica, che ha il compito ed il dovere di fare le scelte; trincerasi dietro scelte tecnocratiche non si concilia con la funzione storica per cui si rappresenta il popolo..
Il D.M 70/2015,al punto 6.3, infine, offre margini per verificare anche altri parametri e requisiti delle strutture interessate alla riorganizzazione, che potranno essere oggetto di verifica e di tutela eventuale in altre sedi.
E a quelle sedi si rimanda per la valutazione più complessiva della materia e di ogni utile iniziativa finalizzata alla tutela del territorio.
Francavilla in Sinni,li 27.06.2016
Antonio Amatucci
(Già Sindaco di Francavilla in Sinni)