A 55 anni dalla Pacem in Terris il mondo torna a tremare

Spirano costantemente venti di guerre, di guerriglie, di stragi e tragedie. La pace rimane solo suono di parole se non si radica in un ordine sociale, politico e diplomatico “fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà”. L’11 aprile 1963 era un Giovedì Santo.

don Camillo Perrone

Giovanni XXIII scelse quel giorno per dare alla luce la “Pacem in terris”, l’ottava enciclica del suo pontificato. Era tempo di Guerra fredda. Il pianeta si misurava con l’incubo di una catastrofe nucleare, mentre registrava il moltiplicarsi di conflitti nel Sud-est asiatico, in Africa e in America latina.
A 55 anni esatti di distanza il mondo torna a trattenere il fiato. Il 2018 s’è aperto con oltre la metà dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite impegnata a vario titolo in Siria: vuoi per combattere (chi a difesa, chi contro Assad), vuoi per aiutare la popolazione stremata, vuoi per entrambi i motivi. Il Governo di Damasco ha riconquistato l’area di Ghouta, alle porte della capitale, tenuta dai ribelli.
Unica voce di pace, il Papa. Proprio come Angelo Roncalli, Bergoglio ha chiesto a tutti di abbassare le armi. E di percorrere la via del dialogo.

“Sono profondamente turbato dall’attuale situazione mondiale, in cui, nonostante gli strumenti a disposizione della comunità internazionale, si fatica a concordare un’azione comune in favore della pace in Siria e in altre regioni del mondo”,

ha ribadito il 15 aprile e il 2 dicembre c.a.: “Mentre prego, mi appello nuovamente ai responsabili politici, perché prevalgano la giustizia e la pace”.
Papa Francesco ha lanciato quest’accorato monito: “Basta guerre, basta morti, basta sofferenze”, ha ribadito parlando della Siria, Paese martoriato e stremato da un conflitto interminabile.
Solo “verità, giustizia, carità e libertà” spengono i conflitti, scrisse Papa Giovanni XXIII nell’enciclica del 1963. Una lezione drammaticamente attuale.
Bergoglio oggi denuncia le guerre in corso (non solo in Siria, ma anche in Palestina, in Libia, in Egitto, in Iraq, nello Yemen), “con il reale rischio che deflagri un conflitto che coinvolga le potenze mondiali”.

Papa Giovanni XXIII
Papa Giovanni XXIII

E facciamo il punto sulla guerra dei prepotenti contro i diritti dei popoli.
In questi ultimi anni sono sempre più inquietanti le notizie che arrivano dal Medio Oriente, in particolare dall’Egitto e dalla Turchia, Paesi dove ormai domina la legge del terrore, imposta da Al Sisi ed Erdogan. Nell’ondata di arresti che dal Cairo si è abbattuta su giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani, è finito anche il capo della Commissione egiziana per i diritti e la libertà, Ahmed Abdallah, consulente dei legali della famiglia di Giulio Regeni (il giovane friulano sequestrato, torturato e ucciso in circostanze che forse non saranno mai chiarite). Ecco pronta l’accusa di incitamento al terrorismo. Alla intrepida Sanaa Seif è bastato portare un mazzo di fiori sul luogo del ritrovamento del corpo martoriato di Giulio per finire nel radar degli sbirri.

Anche un niente può diventare un eccesso, fomentare sospetti. Tutto rischia di essere configurato come crimine, lesa maestà del potere costituito, pronti per il fine a giustificare ogni mezzo. Lo scenario non cambia mai: un circuito perverso di violenza cieca e assoluta. E intanto ogni fondamentalismo ne genera altri. Sentiranno mai, questi neo-satrapi, di dover fare qualche conto con la storia, con i loro popoli schiacciati, con i principi costitutivi della persona umana, che non esiste se non ci sono gli altri? Nei prepotenti di ogni risma e di ogni tempo, il delirio del trono diventa talmente ossessivo da far perdere il senso dell’esistenza degli altri, di intere nazioni. Fermo restando che certe derive autoritarie, con le loro terribili conseguenze, sono irreparabili, sarà mai possibile ristabilire in certi “egolatriil rispetto dei diritti umani? L’esperienza insegna che le sbornie di onnipotenza dei dittatori si risolvono alla fine nel loro opposto. In questa notte della libertà e della forza orfana dell’intelligenza, non resta che aspettare l’alba che riporti i principi fondanti della pluralità delle opinioni, dei partiti, in una parola della democrazia. Ma sarà lunga l’attesa per vedere un filo di speranza?
E che dire della schiavitù che ha un marchio intollerabile: è una condanna!
Ben 46 milioni di donne e uomini vivono il multiforme dramma: della tratta, dei matrimoni combinati con bambine date in spose a vecchioni, del traffico di organi, dello sfruttamento sessuale.
Con tali violenze e violazioni dei diritti umani è impossibile la pace.
E proprio il 10 dicembre ricorre il 70°anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, diritti poco conosciuti e soprattutto poco rispettati.


I papi di questi ultimi decenni spronano a superare il male che coinvolge il mondo: i “sanguinosi conflitti ancora in atto”, le nuove “minacce di guerra” e i “focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato”. In breve, ingiustizie, cattiva distribuzione delle ricchezze e mancato rispetto dei diritti umani alimentano i conflitti che insanguinano il mondo. E viene proposto un nuovo modello economico che sostituisca quello prevalso negli ultimi decenni che teorizza la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica. Un’altra tappa importante per la pace è il diritto al lavoro.

“Sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati”.

Diciamo poi che in Italia le disuguaglianze economiche si stanno ampliando. E’ un processo globale, ma nel nostro Paese appare più pronunciato.
E anche la tanto discussa manovra per un Paese indebitato come il nostro, la scorciatoia di puntare soldi su chi vuole andare in pensione prima o chi non ha lavoro – secondo il nostro parere – non è praticabile.
In casa lucana poi tengono banco le annose questioni di ordine economico, occupazionale, ambientale, agricolo, industriale e quant’altro con tensioni e scontri.
In un’epoca dominata da iper-liberismo e fatale dissoluzione dei legami sociali, in una stagione post-moderna, narcisistica e auto centrata, urge l’affermazione della fraternità universale, ponendo al centro dell’azione pastorale i poveri, coloro che vivono nei bassifondi della Storia, dunque, nella lotta contro le ingiustizie, nell’impegno per la costruzione di una società di uguaglianza di giustizia sociale, nel superamento degli squilibri tra il Nord e il Sud del mondo che stanno all’origine dei conflitti armati.
In un contesto senza dubbio drammatico – come sopra descritto – si situa il messaggio di Papa Francesco per la 52°Giornata per la Pace (01/01/2019) dal titolo: “La buona politica è al servizio della pace”. “Nella società in favore della buona politica”: si potrebbe definire con questo slogan l’impegno della Chiesa in Italia, che continua silenziosamente l’opera di coesione sociale attraverso le sue opere sociali: mense, dormitori, centri di ascolto, scuole, case di cura, oratori.

Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate.
Stile e mezzo per il realizzarsi d’una politica che intende mirare al vero sviluppo umano è la solidarietà, la quale si può definire la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno. La solidarietà politica esige oggi d’attuarsi secondo un orizzonte che si configura come propriamente continentale e mondiale.
Il frutto dell’attività politica solidale è alla fin fine la pace. Orbene tutti, ma oggi specialmente i fedeli laici devono assumersi il compito di essere operatori di pace sia mediante la conversione del cuore, sia mediante l’azione a favore della verità, della libertà, della giustizia e della carità, che della pace sono gli irrinunciabili fondamenti; i fedeli laici infine devono promuovere un’opera educativa capillare destinata a sconfiggere l’imperante cultura dell’egoismo, dell’odio, della vendetta e dell’inimicizia e a sviluppare la cultura della solidarietà ad ogni livello.
E’ una vera missione che richiede, prima di tutta coerenza di vita. “Non basta essere credenti, occorre essere credibili”, ha lasciato scritto il giudice Livatino, ucciso dalla mafia.

Felice Di Nubila

Cari amici, non posso esimermi dal rivolgere un pensiero e una prece per il caro Ing. Felice Di Nubila, mentre si compiono 6 mesi dal suo transito da questo mondo al Padre.
La Divina Misericordia sia per il caro Felice come rugiada celeste e premio di gloria eterna. 18 giugno – 18 dicembre 2018

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